Avvocati penalisti in sciopero il 4, 5 e 6 novembre anche a Isernia, contro il “pacchetto sicurezza”, il disegno di legge numero 1660 approvato alla Camera e presto al vaglio del Senato: ad annunciare l’astensione collettiva dalle attività giudiziarie, udienze comprese, è Francesco La Cava, presidente della Camera penale pentra.
È dello scorso 17 ottobre, la delibera dell’Unione delle Camere penali italiane (Ucpi) in merito appunto all’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale per il 4, 5 e 6 novembre, a cui si aggiunge anche una manifestazione nazionale che si terrà a Roma proprio il 5 novembre «per un confronto sui temi imposti dall’iniziativa normativa, al fine di sollecitare il Parlamento ad adottare tutte le opportune modifiche alle norme del “pacchetto sicurezza” in senso conforme alla Costituzione ed ai principi del diritto penale liberale, sensibilizzando l’opinione pubblica sul pericolo che simili legislazioni securitarie e illiberali possano incidere irreversibilmente sulla tenuta democratica dell’intero sistema penale».
Per gli avvocati penalisti, infatti, il disegno di legge «rivela nel suo complesso e nelle singole norme una matrice securitaria sostanzialmente populista, profondamente illiberale e autoritaria, caratterizzata da uno sproporzionato e ingiustificato rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi ed ai danni dei soggetti più deboli, caratterizzandosi per l’introduzione di una iniqua scala valoriale, in relazione alla quale taluni beni risultano meritevoli di maggior tutela rispetto ad altri di eguale natura, in violazione del principio di ragionevolezza, di eguaglianza e di proporzionalità» – si legge nella delibera dell’Ucpi.
Tra i punti maggiormente contestati nel pacchetto il reato di «rivolta in istituto penitenziario». I rappresentanti delle Camere Penali effettuano infatti periodicamente delle visite nelle carceri monitorando le condizioni di vita dei detenuti. E l’introduzione di questo nuovo reato – con il nuovo art. 415-bis c.p. (art. 26) -, punisce anche «condotte dichiaratamente inoffensive come la resistenza passiva». Ecco perché a parere delle Camere penali il provvedimento rappresenta «un pericoloso arretramento, in quanto introduce una norma evidentemente contraria ai principi di ragionevolezza, di proporzionalità e di offensività, e che si espone, a causa della sua complessiva indeterminatezza, ad una utilizzazione e ad una applicazione arbitraria stante l’inammissibile generico riferimento al contesto nel quale la condotta si consuma».
Per questi e altri motivi, i penalisti stigmatizzano nuovamente come «l’affidare al sistema repressivo penale la soluzione di ogni situazione di marginalità, di devianza, o di potenziale conflitto sociale, anziché percorrere la strada dell’incremento della prevenzione e della riduzione delle cause di disagio sociale che generano i fenomeni della ribellione e della devianza, o anche solo del dissenso politico, finisce con l’alimentare inutilmente una crescente domanda di punizione e con l’incrementare irrazionalmente un sistema carcerocentrico produttivo di ulteriore sovraffollamento, incompatibile con ogni forma di rieducazione, a sua volta causa dell’aumento del fenomeno della recidiva».
L’obiettivo dell’Unione delle Camere penali italiane è quindi quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul «pericolo che simili legislazioni securitarie e illiberali possano incidere irreversibilmente sulla tenuta democratica dell’intero sistema penale».