Un’infanzia violata dalle molestie. Anni in cui sarebbe stato plagiato da colui che si presentava agli altri come lo zio e che invece di notte, a dire della presunta vittima, si trasformava in un aguzzino.
La fuga, la rinascita e la gioia di una figlia. Giorgio Babicz, il 34enne polacco che da settimane sta denunciando pubblicamente la storia accaduta 17 anni fa, in un paesino della provincia di Isernia, oggi non ha paura di parlare, anzi vuole raccontare a tutti gli abusi che avrebbe subito, senza tralasciare alcun dettaglio perché così, dice, «anche altri ragazzi potranno trovare il coraggio di denunciare situazioni analoghe».
Giorgio accusa di pedofilia la sua ex guida spirituale, quel sacerdote conosciuto in Polonia, Paese natale di entrambi. A Lublino il prelato entrò a far parte del nucleo familiare di Giorgio, tanto che decise di portarlo con sé in Italia, nel paesino a pochi chilometri da Isernia, per dargli un futuro. Però, proprio in quel piccolo centro, all’interno della casa canonica, il sacerdote avrebbe usato violenza e oggi Giorgio è convinto di non essere l’unica vittima.
Raggiunto telefonicamente, ha accettato di rilasciare un’intervista a Primo Piano Molise per raccontare la sua verità.
Il 34enne polacco, che da qualche tempo si è trasferito a Milano, dove lavora e vive con la compagna e la bimba, ha inteso innanzitutto rivolgersi al vescovo che, nel solco tracciato da Papa Francesco, ha chiesto perdono a tutte le vittime di abusi.
Giorgio, ti aspettavi le scuse di monsignor Cibotti?
«Ritengo che abbia fatto un gesto importante, però mi è mancato un elemento ovvero una telefonata. Poteva dirmi “ciao, come stai?”, ma alla fine non voglio sminuire il gesto che ha fatto. Tuttavia, lui ha ricevuto una comunicazione a giugno e solo adesso ha parlato di questa storia, quindi se è dispiaciuto per l’eco mediatica non posso farci nulla. Io ho cercato un dialogo col vescovo e con la curia di Isernia in via privata, tramite il mio avvocato che ha mandato raccomandate e lettere. Ho fatto anche una denuncia che all’inizio non ha funzionato, forse perché era stata archiviata. Rendere nota la vicenda su Facebook è stata l’ultima spiaggia, l’ultimo modo adeguato per dire la mia».
Oggi hai 34 anni e 17 anni fa hai vissuto in Molise dopo essere arrivato in Italia insieme al sacerdote che definisci il tuo ‘molestatore’. Cos’è accaduto tra voi?
«In Polonia lui era un amico di famiglia. Io ero molto credente, frequentavo sempre le chiese e lui è apparso quando avevo 11 o 12 anni. Ha fatto amicizia con mia madre, anche lei molto religiosa. Lì era gentile, anche se aveva già dei comportamenti abbastanza sospetti e solo a distanza di tempo ho capito che non erano del tutto naturali. Mi portava in giro, mi faceva guidare la macchina, voleva sempre abbracci. Io all’epoca ero poco più che un bambino, ma non c’erano le molestie che sono iniziate in provincia di Isernia, in un paesino isolato. Io da straniero non parlavo molto bene la lingua ed ero totalmente dipendente da lui. Dopo qualche mese dal nostro arrivo ha iniziato a fare altro, a toccarmi a mettermi le mani nelle mutande e a fare cose poco cristiane, come dice il vescovo».
Questi comportamenti quante volte sarebbero accaduti in quella casa in cui vivevate insieme?
«Quasi ogni sera e si sono protratti per diversi anni, fino a quando ha perso interesse nei miei confronti perché non ero più un bambino, ma un adolescente».
In quegli anni hai raccontato ciò che subivi a qualcuno?
«Sì, mi ero rivolto alle persone del mondo ecclesiastico che frequentavo. Magari lui, il cosiddetto mio ‘carnefice,’ è incosciente tuttora del problema che ha, ma gli altri erano sicuramente consapevoli di coprirlo. È questo che mi spaventa. Quindi ho coinvolto anche l’esorcista e il diacono che non mi hanno aiutato, anzi mi hanno fatto perdere la speranza perché mi dicevano “guarda, è meglio che stai zitto: è il diavolo che ti fa avere queste allucinazioni”. Io mi fidavo di quella gente, ero nel ‘giro’ di sacerdoti, diaconi e suore e mi sono trovato in una ‘gabbia’».
Come sei riuscito a liberarti da questa ‘gabbia’?
«Visto che rivolgermi a loro non ha funzionato, ho iniziato a pensare a una fuga dal Molise, dalla casa canonica e dalla situazione. Con tutte le forze ho cercato di andarmene altrove, in una città non troppo vicina e ora ce l’ho fatta. Di sicuro ci ho messo tempo per rifarmi una vita e il trasferimento a Milano non è stato facile. Questa cosa mi ha segnato e mi ha fatto diventare più forte, tant’è che ho deciso di parlarne e di metterci la faccia. Questa è una piaga e non solo una mia vicenda personale, anche perché oggi ho una figlia e mi dispiacerebbe molto se dovesse capitarle una cosa del genere. Esperienze tali portano danni. Io mi stavo perdendo nell’alcol e ho dovuto frequentare uno psicoterapeuta. Ho avuto molte difficoltà».
Hai avuto modo di parlare con il sacerdote, in che rapporti siete rimasti successivamente?
«Il rapporto è andato raffreddandosi e sono sei anni che non abbiamo contatti. All’epoca gli chiedevo cosa avesse e gli dicevo che non ero d’accoro, però ero completamente dipendente da lui, sia economicamente sia a livello morale e sociale. Avevo una sessualità alterata da lui ed ero manovrato, quindi non mi avrebbe considerato un ‘avversario’».
Recentemente hai cercato di contattarlo, anche tramite il tuo avvocato?
«No, tanto avrebbe riposto: “non è vero, cosa vuoi da me”».
Cosa chiedi oggi alla magistratura e alla diocesi di Isernia?
«Che si possa fare chiarezza su questa mia vicenda e vorrei che altre vittime parlassero senza timori, perché non c’è nulla da vergognarsi. Poi chiedo una punizione per lui e per chi lo ha coperto, perché ‘insabbiare’ queste cose non è affatto bello. Sono fiducioso e speranzoso di avere giustizia e spero di aiutare altri giovani che, incoscientemente, si imbarcano in queste situazioni: bisogna agire».
Tornerai in Molise, magari per avere un colloquio diretto col vescovo?
«Perché no. Se mi invitano sì e forse lo faranno, visto che la cosa è andata un po’ oltre quello che qualcuno si aspettava. Adesso il pentolone bolle a fuoco vivo».
Sei a conoscenza o lo eri all’epoca di altri bambini che si trovavano nella tua situazione?
«Ho scoperto, tramite le mie amicizie in Molise, che il sacerdote con il quale abitavo 17 anni fa, fino all’anno scorso, aveva con sé un altro giovanissimo che denominava suo nipote, proprio come faceva con me. Eppure lui nipoti non ne ha. So che questo giovane girava per il paese con i cani, così come facevo io, quindi mi è sembrato di sentire un secondo ‘Giorgio’. Credo che ora non ci sia più e non so se era lì per studio o vacanza, ma non parlava l’italiano. Era la stessa identica cosa, mi sono rivisto in lui».
Valentina Ciarlante