La crisi che pressa da un lato, la lentezza della pubblica amministrazione dall’altro.
Al centro un’azienda che aveva chiesto “aiuto” allo Stato e che oggi vede acuite le difficoltà per via delle inefficienze causate da chi invece dovrebbe tutelare e sostenere gli imprenditori alle prese con la congiuntura economica.
I fatti. Ad agosto 2017 l’azienda decide di fare ricorso al Fondo di integrazione salariale (cosiddetto Fis, una sorta di cassa integrazione ‘moderna’) per la durata di 13 settimane, con termine a fine novembre del medesimo anno. Per tale ragione trasmette all’Inps di Isernia la documentazione necessaria, tra cui una relazione tecnica dettagliata (come d’altronde previsto dalla legge) e l’accordo sindacale intervenuto tra le parti.
Va detto, in via preliminare, che l’azienda, nonostante le difficoltà, in fase di contrattazione sindacale concede ai dipendenti l’anticipazione del Fis. Per intenderci, il dipendente non ha avuto la benché minima percezione della crisi, perché lo stipendio è arrivato puntuale e per intero.
Fra gli adempimenti previsti, la trasmissione per via telematica di alcuni dati. Operazione consentita solo mediante un “modello” predisposto dallo stesso istituto (quindi non modificabile), da compilare in ogni “campo” secondo le istruzioni fornite. In tale contesto, spiegano dall’azienda, veniva richiesto l’inserimento del numero di ore settimanali e non quello complessivo oggetto dell’integrazione salariale.
L’Inps, dopo tre mesi dall’inserimento della domanda, fa sapere che la stessa è sì stata accolta, ma solo parzialmente (per circa il 10% del valore complessivo richiesto).
L’azienda, già in apprensione e alle prese con i molteplici adempimenti quotidiani, si attiva immediatamente per capire cosa è accaduto: telefonate, fax, raccomandate, pec, interlocuzioni.
L’inghippo, a quanto pare (non si è mai avuto conferma), è nei dati trasmessi per via telematica. Ovvero, l’istituto ha probabilmente considerato le ore di una settimana anziché quelle complessive per le quali si chiedeva il beneficio.
Arriviamo, nel frattempo, a metà dicembre dell’anno scorso. I legali dell’impresa chiedono all’Inps di rivedere in autotutela il provvedimento emesso e di riconoscere il totale del monte ore. Con la stessa nota chiedono pure quali le possibili soluzioni (integrare la domanda di agosto, reiterarla ex novo), onde evitare la soppressione dei posti di lavoro.
L’Inps di Isernia trasmette l’istanza alla direzione generale di Roma e chiede lumi sul da farsi.
Dopo oltre due mesi, siamo a fine febbraio, Roma scrive a Isernia e “autorizza” la rettifica, indicando anche come procedere. E qui viene il bello. Perché la procedura indicata non è da Isernia eseguibile, poiché non ancora operativa nel proprio sistema informatico. Davvero, non è uno scherzo di carnevale.
L’azienda sta sollecitando quasi quotidianamente, ma, banalizzando, è come se un grafico dovesse realizzare un manifesto elettorale utilizzando il Photoshop senza avere lo stesso programma installato sul pc: impossibile!
Cosa si fa? Si aspetta. Non ci sono alternative. L’azienda (cornuta e mazziata, perché ha pure anticipato i compensi ai lavoratori) licenzia? Lo Stato, perché l’Inps nel caso di specie rappresenta lo Stato, pare voler rispondere: pazienza…
Vengano, signori. Vengano. Berlusconi, Di Maio, Salvini. Meloni, Gentiloni. Altro che Ohio. Siamo in una repubblica Sudafricana. Con il dovuto rispetto per il Sud Africa.
E le aziende muoiono nell’indifferenza totale.
ppm

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