L’inchiesta antidroga nel carcere di Larino squassa il mondo penitenziario, non solo in Molise, con il blitz gigantesco, mai così esteso, avvenuto nella notte tra martedì e mercoledì, con Carabinieri e agenti di Polizia penitenziaria del nucleo centrale di Roma, che almeno in 250 hanno setacciato ogni angolo dell’istituto di reclusione, sia nella zona degli uffici che nelle oltre 50 celle. Episodi isolati negli ultimi anni, quelli che erano stati scoperti all’interno del carcere di Larino, con l’introduzione di stupefacenti e anche telefonini, ma anche indagini di respiro più ampio avevano evidenziato i rischi di infiltrazione dentro le mura del supercarcere che sorge sulla strada di collegamento tra Larino e la Bifernina. Una pratica comune a tanti istituti di pena, come viene evidenziato dall’attività repressiva che quasi quotidianamente nel Paese porta a sequestri, arresti e denunce. Nella circostanza, questa attività giudiziaria, da parte della Dda del capoluogo, è partita dalla segnalazione di alcuni detenuti, è partita una inchiesta giudiziaria che ha incardinato addirittura l’iscrizione nel registro degli indagati di 18 persone, accusate di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Tra costoro, la maggior parte proprio reclusi, persone esterne al penitenziario di contrada Monte Arcano, personale amministrativo e la direttrice, Rosa La Ginestra, il cui coinvolgimento ha destato clamore assoluto, vista la propria carriera di 32 anni nell’amministrazione carceraria, un atto dovuto rispetto all’incarico ricoperto. Il suo legale, Nicolino Cristofaro, che non ha voluto commentare la notizia, ha solo confermato quanto una notizia dell’agenzia LaPresse aveva diffuso nel pomeriggio di ieri. Da sottolineare come nessun appartenente al Corpo sia stato indagato. L’inchiesta è portata avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Campobasso, che ha riunito tre tronconi di indagine diversi, proprio per stroncare la pratica della droga smerciata ai detenuti. Sarebbero stati sequestrati almeno sei cellulari trovati in possesso dei reclusi, alcune fonti parlano anche di riscontri sullo stupefacente, ma non è ancora stato confermato se ci sono stati sequestri di dosi trovate nelle celle. Agli indagati è stato notificato il decreto di perquisizione, da cui hanno appreso di essere iscritti nel registro generale delle notizie di reato per l’articolo 74 del codice penale, appunto associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. La figura di Rosa La Ginestra è considerata al di sopra di ogni sospetto nel territorio e in generale nell’amministrazione carceraria, anche per l’attività promossa a vantaggio del reintegro dei detenuti nella società e tante iniziative all’interno della casa circondariale di contrada Monte Arcano. Dopo un briefing nella caserma frentana di via De Rosa, le forze dell’ordine, intorno alle 3, hanno fatto irruzione all’interno della struttura carceraria coadiuvati anche da unità cinofile, compresa la sezione massima sicurezza, oltre al Nic di Roma della Polizia penitenziaria, a operare i militari provenienti anche dalle tredici stazioni della compagnia Carabinieri di Larino, attività che è stata conclusa soltanto dopo diverse ore. Nel mirino degli investigatori i registri su cui vengono annotate le presenze del personale civile e quello dei visitatori. Riflettori accesi anche sul laboratorio di pasticceria, che è stato messo sotto sigilli. Solo 4 anni fa l’attività di pasticceria era finita in un’altra inchiesta, quella volta della Procura della Repubblica di Larino, sempre per traffici illeciti. Gli inquirenti sono all’opera per ricostruire tutti i movimenti attraverso cui sarebbe stato possibile introdurre la droga nel carcere. In merito è intervenuto anche il segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria, Aldo Di Giacomo, che ha chiesto di fare subito chiarezza in merito all’accaduto: «L’imponente operazione della notte tra martedì e mercoledì, con perquisizione nel carcere di Larino per impiego di forze e mezzi, modalità di esecuzione, senza precedenti e forse con queste caratteristiche in rari casi di penitenziari italiani, non può che lasciare sconcertati chi conosce bene le carceri molisane. Per questa ragione si richiedono comunicazioni ufficiali e rapide indagini senza alimentare false e dannose notizie. Per la nostra conoscenza della direttrice e del comandante ci sentiamo di escludere responsabilità dirette ma in ogni caso proprio nel loro interesse e in quello del Corpo Penitenziario sollecitiamo celerità di indagine. Al momento non ci risultano indagati tra il personale. Siamo certi che la magistratura chiarirà i fatti».