Dopo Pietrabbondante continua il nostro viaggio attraverso il Molise dimenticato. Questa volta parliamo di Larino. Molti hanno sentito nominare Larino per la prima volta grazie alla famosa orazione Pro Cluentio scritta dal grande giurista latino Marco Tullio Cicerone nel 66 a.C. Aulus Cluentius Habitus Minor, ricco cavaliere romano di Larinum, era stato accusato da sua madre, Sassia, di aver tentato di avvelenare il patrigno. Il caso suscitò grande clamore e vivace interesse in tutto il popolo, arrivando finanche a Roma. La difesa di Aulus Cluentius fu assunta nientemeno che da Cicerone. La precisa strategia argomentativa del grande oratore romano portò all’assoluzione del giovane Cluentius da tutte le accuse. Larinum, in epoca romana, a seguito delle guerre sociali, assunse lo status di municipium e, sempre Cicerone nel Pro Cluentio riferisce che nella città si praticavano giochi e ludi, ma solo in età flavia, tra il 69 e il 96 d.C., venne edificato l’anfiteatro. Di forma ellittica, esteso su una superficie di 6000 metri quadrati, interamente scavato nella roccia poteva contenere circa 18mila spettatori che assistevano agli epici scontri tra gladiatori e a spettacoli di caccia. Nell’arena si accedeva da quattro porte: la porta a nord detta Porta dei gladiatori da cui uscivano i campioni vittoriosi mentre quella a sud era destinata all’uscita dei gladiatori e delle fiere morti nei combattimenti. Le altre due porte conducevano alle scalinate riservate agli spettatori. A seguito delle spoliazioni medievali, sono visibili, ancora oggi, il podio destinato a coloro che rivestivano funzioni politiche, ai sacerdoti e alle vestali, parte delle gradinate e le mura perimetrali. Ma cosa resta oggi della magnificenza di un tempo? Resta uno scheletro oramai soggetto a una osteoporosi irreversibile. Questa è una malattia sistemica che interessa il nostro territorio ed è legata all’incuria e alla colpevole negligenza di tutti coloro che negli anni lo hanno visto sgretolarsi e andare in rovina. In bella vista, sul cancello eternamente chiuso, ci sono gli orari di visita, che peraltro non coincidono con le informazioni diffuse dal sito del Mibact – Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo – Segretariato Regionale per il Molise. Il Mibact ci fornisce come orario di apertura dalle 8.30 alle 19.30; viceversa il cartello sbiadito affisso al cancello ci informa che l’area è aperta al pubblico dal martedì al sabato dalle 9 alle 13. Peccato che qualunque sia l’orario in cui vi recherete all’anfiteatro potrete solo ammirare un cancello chiuso e il degrado in cui versa il sito. Ancora una volta ci chiediamo quanto sia necessaria una riflessione condivisa e approfondita su cosa voglia dire sviluppare il turismo delle aree interne. Lo chiediamo a noi stessi perché le amministrazioni non fanno che declinare ogni responsabilità, il che significa, in maniera surrettizia, declinare ogni interesse verso la propria terra e la propria storia. Invece vorremmo e dovremmo avere delle risposte: perché l’anfiteatro è chiuso? Perché sulle gradinate, in cui sedevano i tribuni e gli spettatori, ora cresce l’erba? Perché lungo le mura troviamo un fiorire di rifiuti? È questa Larino? L’orgoglio e l’interesse per la propria città è solo uno slogan elettorale? Apriamo il teatro e tagliamo l’erba solo per le passerelle istituzionali? Il disfacimento dell’anfiteatro simboleggia il disfacimento delle istituzioni che hanno dimenticato il loro ruolo e che disattendono i principi costituzionali. All’articolo 9, i padri e le madri costituenti hanno stabilito, tra i principi fondamentali, la tutela del patrimonio storico della Nazione. I beni storici e artistici rappresentano il simbolo e la testimonianza della nostra identità, sono l’essenza dello sviluppo civile dello Stato. Questa norma, come l’intera Costituzione “è un pezzo di carta”, come ci ha insegnato Calamandrei, “la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”. Impegno e responsabilità sono le parole che dovrebbero risuonare nelle orecchie di chi ha assunto un ruolo di guida nei confronti della comunità. Cosa vuol dire amministrare, governare? Vuol dire reggere il timone, manovrare un bastimento per dirigerlo verso la rotta prestabilita. Un buon comandante di nave frange le onde e, anche attraverso le tempeste e le avversità, porta il suo equipaggio in porto. I governatori delle nostre comunità, allora, dovrebbero affrontare le onde alte della burocrazia per difendere l’onore di una città e non lasciarla nel disfacimento. Emerge, di nuovo, la distanza tra la politica e la realtà locale, tra la politica e la necessità di sviluppo e valorizzazione di un territorio che in altre epoche ha raggiunto i più alti livelli e che oggi non è altro che una sciupata rovina. Lentamente, quasi senza accorgersi, diventiamo ciechi, perdiamo la capacità di vedere, di comprendere quanto sia grave la perdita che stiamo subendo da anni, perdiamo la capacità di indignarci di fronte al disprezzo che dimostriamo per la nostra storia e la nostra identità. Ci dimentichiamo da dove arriviamo e non sapremo mai più essere in grado di costruire un vero futuro per i figli di Larinum.
Giovanna Paradiso