Un ex dipendente comunale di Larino muore di Covid a Roma e allora si scatena il dibattito in rete, dopo il post pubblicato dal figlio sui social, ripreso e condiviso anche dall’amministrazione comunale.
«Pubblichiamo il post che il figlio di Peppino Ferritti ex dipendente comunale ha pubblicato su Facebook in relazione alla morte del padre. Rinnoviamo le nostre sincere condoglianze alla famiglia», affermano da Palazzo Ducale. Lutto in città, a Larino: si è spento a 68 anni Giuseppe Ferritti, detto Peppino. Era ricoverato a Roma. Su Facebook il post del figlio Antonio: «Non tutti sono tirati per fare il medico purtroppo. È difficile dirlo in questo periodo, sono stressati, non hanno personale e fanno ore in più rispetto a quelle programmate. Questo è vero, ma bisogna comunque rimanere esseri umani. Papà soffriva di diverse patologie, tra cui insufficienza renale, era un paziente che veniva trattato con emodialisi. Purtroppo non riesco a farmi capace di come sia possibile che, in un ospedale di tale importanza (Tor Vergata-Roma), non abbiano preso in considerazione questi fattori. Lui era stato ricoverato per un’infezione, una semplicissima infezione, curabile seguendo la giusta terapia. Lui era un soggetto da tenere bene in considerazione, andava isolato, curato e non trascurato. Invece no, non è quello che hanno fatto. Lo hanno trattenuto 8 ore in pronto soccorso, in mezzo a gente malata, che ahimè, purtroppo erano nella sua stessa situazione. Lo hanno trasferito in reparto dopo ben 8 ore, probabilmente il virus lo ha contratto lì. Dottori che non sapevano nemmeno che doveva ricoverarsi, infermieri che rispondevano in modo brusco ad ogni sua richiesta, risposte del tipo: “Ma lei cosa fa qui ? Chi l’ha mandato da noi?” Dopo una settimana circa di ricovero, dopo ben 4 tamponi al quinto eseguito è risultato positivo. Con il passare del tempo le sue condizioni peggioravano, lui diceva di star bene, era troppo forte per ammettere di star male. Voleva rassicurare noi e tutti i suoi cari che ce l’avrebbe fatta, che anche il Covid non l’avrebbe abbattuto. Ma così non è stato. La cosa più assurda è stata la chiamata di una dottoressa, che il giorno prima affermava di volerlo rimandare a casa se le sue condizioni fossero migliorate. “Se le sue condizioni fossero migliorate”. Ma dopo questa frase arriva c’è la pazzia totale. La dottoressa chiese a mia madre se avessimo avuto la possibilità di farlo tornare a casa ,nonostante la positività, chiedendo se avevamo un bagno e una stanza a disposizione. Alla domanda di mia madre alla dottoressa: “Ma se lo fate tornare a casa ancora positivo, non c’è il rischio di contagio anche per noi?” La risposta della dottoressa è stata: “Ovviamente si signora ,il rischio di contagio c’è anche per voi”. Ebbene allora mi chiedo se si può essere definiti umani dopo aver detto ciò. Si può essere definiti medici dopo aver detto questo? Si può essere infermiere se si risponde in modo brusco ad ogni domanda di un paziente, nonostante tutta la paura, l’ansia e la tristezza di non riuscire a vedere i propri cari? No, non si può. Il medico è un mestiere per esseri umani, per persone coraggiose, pazienti e dignitose. Non è un mestiere per i raccomandati che vogliono solo guadagnare. Questa è la situazione che stiamo vivendo e, purtroppo, quando si aggiungono le persone senza valori, è ancora peggio. Ringrazio tutti i medici che gli sono stati vicino in questi anni, che l’hanno sostenuto e amato per quello che era. Un ringraziamento speciale al reparto di Nefrologia di Larino, a tutto il personale. E soprattutto: “Riaprite il Vietri”. Perché nonostante il piccolo paese, nonostante la piccola regione, qui di persone stupende e preparate ne abbiamo un sacco».