«Questo paese, dove sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo» – scriveva Cesare Pavese, nel suo romanzo “La luna e i falò”. «Adesso che il mondo l’ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto».
In questo breve pensiero può essere racchiuso un concetto molto importante nella vita di ognuno, il legame con la propria terra.
Ognuno dei tanti che hanno dovuto lasciare il proprio Paese, lo ha fatto con la paura dell’ignoto, col cuore pesante per il distacco dai propri cari, dai propri luoghi, con la sensazione amara della prematura nostalgia. Ognuno è partito con le tasche semivuote e le valigie piene di speranze, verso l’orizzonte di un luogo ancora sconosciuto, verso un futuro ancora ignoto, con il sogno di una realtà migliore, più florida, nella quale potersi integrare e creare le basi per raggiungere il benessere; ma lasciando il cuore proprio lì, nella terra natìa, tra quelle casupole arroccate e diroccate, tra i colori, gli alberi, i profumi che da sempre gli sono appartenuti. Per chi è rimasto, può sembrare scontato, ma chi è partito non ne ha mai dimenticato il colore del cielo né ha mai lasciato che si disperdesse il ricordo dei comignoli fumanti nelle giornate d’inverno o l’odore del vento e delle pietanze cucinate dalle nonne e dalle signore del borgo.
È da qui che nasce il concetto di Radici, non a caso titolo dell’opera dello scultore Fernando Izzi, con il quale abbiamo fatto quattro chiacchiere alla vigilia dell’inaugurazione, a Torella del Sannio.
«Questa mia opera – spiega il maestro – vuole rappresentare innanzitutto le radici di chi è espatriato in terre lontane per creare nuove prospettive di vita, in cerca di un futuro diverso, nel quale ha avuto la possibilità di esprimersi e affermarsi, diversamente da ciò che sarebbe potuto accadere se fosse rimasto ancorato alla propria terra, chepurtroppo non offriva prospettive. La perseveranza e il sacrificio, il coraggio di sradicarsi da quel piccolo mondo fatto di poco o niente ha permesso a coloro che sono emigrati di ricevere ricompense, di diventare uomini e donne che hanno riempito di orgoglio e riconoscenza il nostro Molise. Orgoglio perché i nostri emigranti hanno scritto una nuova storia, hanno costruito una nuova economia; riconoscenza, perché, pur avendo varcato nuove frontiere ed essendosi stabiliti in altre realtà, non hanno mai dimenticato né rinunciano all’essere italiani molisani. “Radici”: è questo il titolo della mia opera, la sfera, realizzata da radianti e meridiani, rappresenta il mondo, al cui interno si vedono i confini della nostra regione e il panorama del nostro paese, a rappresentare quelle radici inestirpabili che sono gli affetti e i ricordi e rendono indissolubili i legami, orme indelebili nei nostri fratelli ormai cittadini di nuovi mondi. Voglio ringraziare il sindaco Gianni Meffe, promotore del progetto, sempre attento e impegnato a promuovere la cultura del proprio territorio, per il quale nutre un amore profondo, fondatore e presidente dell’Associazione culturale “Monongah” nonché delegato per il Molise e membro del direttivo del CTIM, e il signor Domenico Antonio Meffe, fondatore e titolare della catena di alberghi Montecarlo Inn con sede in Canada, che ha reso possibile l’installazione dell’Opera a Torella».
Il monumento sarà inaugurato oggi in occasione della giornata dedicata all’emigrante promossa e curata dal Comune. L’opera si trova all’ingresso del paese e rappresenta, come il maestro Izzi ha spiegato, il legame profondo con la propria terra, il luogo nel cui ventre affondano le radici, perché la vera casa di ognuno è, in fondo, lì, dove batte il cuore, una terra in cui il tempo sembra essersi fermato, per quella calma quasi inerte nell’indissolubile groviglio che il cielo crea con le pietre e quelle strade ricoperte dalle orme dei ricordi; per quell’ordito di vicoletti che entra tutto in uno sguardo e che porta verso il castello e il campanile, e i balconi pieni di fiori e di persone sedute accanto all’uscio con le quali soffermarsi a chiacchierare, per quella luce chiara e quei tramonti appesi al cielo tra i seni del monti che svettano all’orizzonte.
“Colori sparsi ai bordi delle strade come manciate di «ora puoi», case cucite insieme come per tenersi strette e tu che dovunque ti volti vedi un sorriso. Di tutto questo è fatto il paese che ami quando lo rivedi” [cit. F.C.].