«Avevi tanta voglia di vivere però il destino non ha voluto. Cavalca anche lassù più forte ancora e sappi che noi saremo sempre dietro di te… Un giorno ci ritroveremo e cavalcheremo di nuovo insieme… Vola più in alto che puoi amico mio… Mancherai un sacco».
È uno dei numerosi messaggi che gli amici di Cristian hanno lasciato sulla sua bacheca.
Ne ho scelto uno per tutti. Uno che come tutti gli altri rappresenta il dolore con cui fa i conti una comunità, quella dove vivo da qualche anno, alle prese con un dolore atroce, insopportabile.
Cercemaggiore da giovedì ha perso uno dei suoi figli migliori. Un ragazzino che amava i cavalli e le moto. Un ragazzino con la testa sulle spalle.
Ventuno anni appena e da due e mezzo già alle prese con le fatiche del cantiere. Un impiego stabile, sicuro. Ma impegnativo e pesante.
Cristian realizzava insieme ai colleghi dell’impresa di cui era dipendente linee elettriche di alta e media tensione. Lavorava perlopiù all’aperto. Vento, sole, pioggia, neve non lo spaventavano.
La ditta era la sua seconda famiglia.
Non conoscevo Cristian. Ho letto però con molta attenzione cosa sta scrivendo di lui chi ha avuto il privilegio di incrociarlo lungo il cammino terreno. Mi hanno raccontato di come era legato ai genitori, al fratello maggiore. Con quanto amore coltivava le sue passioni. Quanto era tenero, sincero e affettuoso con le sue amiche e i suoi amici. Quanto era ligio ai doveri del cantiere. Scrupoloso, attento.
Mi hanno detto di quanto era grande la sua voglia di vivere, che un destino beffardo, crudele e che non concede appello ha spezzato così all’improvviso, nel più atroce dei modi.
Quando un ragazzo vola in cielo è sempre una tragedia immensa. Quando la tragedia accade in una piccola comunità, tra le più segnate
del Molise dalla pandemia da coronavirus, diventa insostenibile, insopportabile. Toglie il respiro, fa venire meno le forze. Annienta il corpo e l’anima. Rimette tutto in discussione.
Cercemaggiore, al di là delle normali e fisiologiche beghe di paese, è un luogo bello da vivere. È bello perché bella è la gente che lo vive.
A Cristian dico grazie. Grazie per aver contribuito a rendere così bello il suo paese.
Ora mi piace pensare che in sella ai cavalli del Paradiso stia percorrendo insieme agli angeli le praterie del Cielo. E che alterni cavalli e moto, in una dimensione e un paesaggio a cui è concesso l’accesso ai pochi che nella tappa terrena della vita lasciano il segno.
Ciao campione! E ancora grazie.
Luca Colella