Troppo ghiotta ieri l’occasione, per non coglierla. Parliamo della presenza del ginecologo Dino Molinari, chiamato a parlare di prevenzione tumorale ai ragazzi del liceo Jacovitti. Una presenza dell’ex direttore f. f. dell’Uoc di Ostetricia e Ginecologia di Termoli, che da metà ottobre scorso ha lasciato il San Timoteo dopo 33 anni, di cui undici da primario, che abbiamo sfruttato, per chiedergli di dirci come sono andate le cose, fino alle sue dimissioni: riflessioni andate anche al di là del mero Punto nascita.
«Sulla lunga diatriba del punto nascita si sono espressi un po’ tutti: dalle associazioni di settore (Aogoi), comitati cittadini, amministratori locali, provinciali e regionali, politici, commissari e sub-commissari alla sanità. Basti ricordare che l’Aogoi circa sei anni fa diceva per bocca dei suoi vertici nazionali ma anche locali che il punto nascita non era sicuro e andava chiuso subito. Più di recente, agli inizi del 2021, il generale della guardia di finanza Angelo Giustini, commissario straordinario ad acta per la sanità del Molise, nel corso di un incontro con i medici del San Timoteo affermava di essere certo che il punto nascita di Termoli non esistesse più, avendo già disposto la chiusura.
Meno presenti sul pezzo sono stati i sindacati se si eccettua la Cimo , ma gli stessi medici, sia ospedalieri che non, hanno mostrato quasi disinteresse all’argomento, forse perché imbavagliati dal disposto Asrem che consente di poter rilasciare dichiarazioni solo di carattere scientifico e non organizzativo pena provvedimenti disciplinari.
E l’Ordine dei Medici? Non pervenuto!
C’è da sottolineare che l’assenza dei medici si è notata soprattutto nei tavoli tecnici dove si decideva del loro futuro lavorativo e professionale e tuttora non è chiaro cosa sarà di loro nella malaugurata ipotesi di chiusura del punto nascita. Ah già, ma resta il punto maternità! Cioè? Tutti si chiedono: cioè?
Cosa si intende? L’unità operativa complessa sarà declassata a semplice ambulatorio ospedaliero di ostetricia oppure, come proposto ai tempi della prima chiusura, dovrà garantire le urgenze ostetriche? Immaginatevi una sala parto chiusa che apre solo per parti precipitosi o distocici e per tagli cesarei d’urgenza! – ha ribadito Molinari – se per il Ministero della Salute e per l’Aogoi è pericoloso un punto nascita che fa meno di 500 parti all’anno, figuriamoci quello che fa solo 5 – 10 urgenze l’anno! Certo il 118 porterà le pazienti alle sale parto limitrofe ma se giunge al pronto soccorso una donna gravida col proprio mezzo, in travaglio di parto, dovrà essere trasferita all’ospedale sede di accordo di confine. Un via vai continuo per i ginecologi e per le ostetriche con aggravio di rischio per le donne e i loro figli!
Ed è anche per questa incertezza, oltre che per la situazione che vado a raccontare, che altri ginecologi stanno decidendo di lasciare il posto al “S. Timoteo”: infatti c’è chi sta preparando la domanda di trasferimento e chi si accinge a licenziarsi.
Ma occorre ragionare nell’ottica dell’intero ospedale.
Molti si augurano che i nostri rappresentanti alla Camera dei Deputati e al Senato facciano valere il diritto alla salute dei molisani più di quanto sia accaduto nel passato, prossimo e remoto, e che il nuovo Ministro della Salute si muova nella giusta direzione nel garantire una sanità degna anche per noi molisani, forse pensando in primis di istituire un DEA di 2° livello a Campobasso. Si, perché solo così il San Timoteo e non solo il punto nascita potrà tornare ad avere dignità e rinascere in quanto a oggi l’intero ospedale è da considerare come un paziente in fin di vita a cui non si riesce a dare le necessarie cure per guarire.
Infatti il Punto nascita è solo la punta dell’iceberg. La carenza dei ginecologi da oltre un decennio ha richiesto sacrifici immani, senza la possibilità di riposi e a volte ferie negate per evitare la sospensione dei ricoveri e quindi la chiusura della sala parto.
Ma esiste anche la carenza dei pediatri, altrettanto drammatica se si pensa che l’intera pediatria regionale si tiene in piedi solo grazie al ricorso di una società che fornisce pediatri a gettone, quindi – come si lamentano i due pediatri strutturati di Termoli – senza poter garantire una continuità assistenziale in un reparto altrettanto delicato dove è in ballo la salute di neonati e bambini. Società che se non puntualmente pagata interrompe il servizio. Ultimo episodio certo a metà ottobre quando in tutti i punti nascita regionali non si è presentato il pediatra all’orario del cambio turno per problemi economici.
Altra grave carenza è quella degli anestesisti. Il reparto di anestesia e rianimazione lavora con un organico dimezzato dove all’arrivo di un anestesista si assiste al licenziamento di un altro, e dove a breve altre due unità raggiungono la soglia del pensionamento. Va detto che ciò comporta non solo la mancata certezza di poter avere almeno una seduta operatoria a settimana per reparto chirurgico ma soprattutto l’impossibilità di avere presente h 24 l’anestesista urgenziere; quindi può succedere che la notte e/o i festivi vi sia l’anestesista reperibile e occorre aspettare che giunga da casa per poter effettuare un qualsiasi intervento chirurgico, figurarsi un taglio cesareo d’urgenza! Inoltre da casa deve arrivare anche il personale infermieristico /strumentista a cui è stato cambiato l’assetto lavorativo.
Capitolo a parte è la cura delle patologie tempo dipendenti, in cui non voglio entrare nel merito.
La situazione appena descritta, venutasi a creare nel corso degli anni, ha messo l’ospedale in ginocchio, mancano due generazioni di medici e, ora che i concorsi sono stati riavviati, vanno deserti perché non siamo più attrattivi data la carenza di specialisti in molte sedi d’Italia più appetibili di quelli molisani. L’operato dei numerosi commissari ad acta e dei direttori generali, che a volte hanno lasciato anzitempo il loro posto vuoi per decisione politiche vuoi per raggiungere mete più ambite, non ha dato i risultati sperati.
Occorre una radicale inversione di marcia con la presa in carico della nostra sanità da parte di persone che abbiano veramente a cuore la salute dei molisani, dai tecnici ai politici che però non antepongano i propri interessi e che siano persone non solo volenterose ma qualificate, preparate, capaci e competenti in un settore così delicato.
Professionisti che innanzitutto si rendano conto che per risolvere le criticità occorre tornare alla normalità e alla legalità: un ospedale ha innanzitutto bisogno di avere reparti con referenti che possano realmente espletare il proprio ruolo con tutto il potere decisionale che gli compete, cosa che si fa nominando i primari a cui dare poi uomini e mezzi per gestire il proprio reparto.
Il S. Timoteo è forse l’unico ospedale in Italia in cui nessuna unità operativa, compresa la Direzione Sanitaria ha il primario, se non una sola unità che paradossalmente ha però il reparto a Campobasso. E ci sono reparti anche senza il facente funzione. Credo che questo stato delle cose, immobile da anni, la dice lunga sul futuro che è si prospetta o che è stato decretato per l’ospedale.
Per ciò che ho vissuto personalmente posso dire che negli undici anni di facente funzione ho dovuto affrontare difficoltà immani nel dover organizzazione un reparto con ridottissimo personale, tutto con grande spirito di abnegazione mia e di tutti i colleghi che hanno dato sempre la loro disponibilità ad effettuare turni aggiuntivi per evitare la chiusura del reparto, andando anche contro quanto consentito dalle norme contrattuali e dei disposti europei.
La situazione col passar del tempo diventava sempre più complicata e le risposte dagli interlocutori non arrivavano, tant’è che a febbraio 2016 mi sono dovuto rivolgere al Prefetto per rappresentare il rischio di incolumità della salute pubblica per le donne del Basso Molise. Il Prefetto si attivò nei confronti dei vertici Asrem e dell’allora Governatore della Regione però, purtroppo il frutto del suo intervento non arrivò.
Tutto ciò non è sfuggito all’utenza che nell’incertezza sul futuro del punto nascita ha scelto di rivolgersi in altre sedi.
Vedendo la progressiva riduzione delle prestazioni e dei parti sono stato io per primo il promotore di una diversa organizzazione del reparto, proponendo di scorporare l’ostetricia dalla ginecologia assegnando l’una ad un valido professionista e continuando io a gestire solo l’altra. A riprova che per me non è stato mai rilevante ricoprire il ruolo di responsabile, che per altro non ha dato meriti ne riconoscimenti ma solo grane da pelare in totale solitudine, e l’ho svolto sempre nel solo intento di salvaguardare un servizio fondamentale.
Iniziativa che non è stata presa in considerazione.
La responsabilità nel gestire il reparto, nell’assordante silenzio di chi doveva intervenire, non è stata quindi mai gloria ma solo sacrificio, fatto con dedizione e trasporto per una professione che ho sempre amato. Sono state le incommensurabili problematiche irrisolte che mi hanno portato negli ultimi mesi a fare richiesta di rinuncia del ruolo prima di arrivare alla decisione definitiva del licenziamento, nell’intento di dare una sferzata e salvaguardare sino alla fine un servizio fondamentale per l’utenza.
Credo di aver dato molto al “San Timoteo” e con la mia abnegazione, competenza e professionalità ho lasciato l’esempio di cosa si può fare se sai di poter essere utile al prossimo e non per fare carriera come qualcuno ha affermato, dirigente ero 30 anni fa e dirigente sono stato fin alle mie dimissioni.
Ho introdotto la diagnostica endoscopica, la laparoscopia ginecologica, la chirurgia uro-ginecologica,
oltre ad ampliare le prestazioni ambulatoriali, come l’amniocentesi.
Nel periodo di facente funzione ho messo in atto numerose iniziative per dare visibilità al reparto: giornate della prevenzione offrendo visite e pap-test, ho disposto visite gratis nel giorno della festa della mamma e nella giornata della donna, ho aderito a tutte le giornate della Lilt, alla giornata europea di uro-ginecologia. Ho organizzato congressi e aggiornamenti che altre unità non hanno mai fatto. Ho sostenuto più di qualsiasi altro la donazione delle cellule staminali da cordone ombelicale.
Ma soprattutto ho chiesto per anni e con insistenza una nuova sala parto, al passo con i tempi da collocare in ambienti migliori, togliendola dove per accedervi si attraversa il corridoio dello sporto delle sale operatorie. Una sala parto accogliente per l’intero nucleo familiare con la possibilità di offrire diverse opzioni di travaglio e parto.
Ma anche in questa occasione non sono stato preso in considerazione.
Prima delle sofferta obbligata decisione ho tentato l’ultima carta e, nel mio costante lavoro propositivo, ho bussato a varie porte; mi hanno ricevuto i vertici Asrem e il Commissario ad Acta per la Sanità a cui ho fatto presente che mettendo in atto un percorso di riqualificazione, un vero decalogo, si poteva riuscire a risollevate le sorti del punto nascita.
Pensavo di esser ascoltato e compreso da chi credevo stesse dalla mia parte, dalla parte dell’utenza di cui conosco bene le richieste e le esigenze, invece mi sono trovato nuovamente solo, impotente, a ricoprire il ruolo svuotato, insignificante di facente funzione.
Sono stato costretto mio malgrado e con un grande magone, a prendere questa sofferta decisione di licenziarmi, decisione diventata inevitabile per poter continuare ad esercitare la mia professione senza umiliazioni ma con dignità, tutto ciò che per formazione ed esperienza posso fare con l’unico scopo di curare le pazienti e risolvere le loro problematiche sia ostetriche che ginecologiche che uro-ginecologiche nel modo più consono e attuale, offrendo procedure che sono il Gold standard di questa branca, seppure fuori Regione».

EB

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