«La Vibac non ha mai voluto aprire un tavolo di confronto. Io ho scritto molte lettere alla proprietà, che ha sempre risposto in maniera evasiva e con poco interesse». Le parole del sindaco di Termoli, Francesco Roberti, rappresentano tutta la difficoltà di dialogo che si manifesta da tempo col management della fabbrica che produce nastro adesivo al Nucleo industriale. Lo scorso anno, nella prima decade di marzo, esplose la contestazione, con la proclamazione dello stato di agitazione, uno sciopero, sit-in di presidio e anche un’assemblea in sala consiliare con parti sociali e lavoratori. Trascorre un anno, quasi, e arriva una tegola grossa come l’intero stabilimento, poiché la dirigenza ha annunciato il licenziamento di gran parte del personale, addirittura 126 dipendenti su 142. A darne notizia sono state le segreterie e le Rsu Filctem Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uile Failc-Confail. «La Vibac ha annunciato che rimarranno solo 16 addetti nello stabilimento di Termoli che equivarrebbe alla chiusura dello stesso. Sembra una presa in giro ma è un atto formale della società. Siamo nel pieno di una cassa integrazione straordinaria che finirà a luglio 2023 e firmata perché: bisognava ridurre le produzioni sulla linea 4; bisognava rimodulare le produzioni delle linee 3, 5 e lavorando dal lunedì al venerdì, invece che 7 giorni su 7; bisognava ridurre le attività del reparto taglio e avviare particolari attività di revamping per rendere più competitivo il prodotto collocato sul mercato; bisognava apportare inoltre ulteriori modifiche agli impianti, nonché a effettuare interventi sul complessivo ciclo produttivo mediante azioni di miglioramento. Nella procedura di cassa integrazione guadagni non si menziona nessuna riduzione di persone diretto e nel frattempo sono stati licenziati circa 50 interinali che costituivano pressappoco il 25% della forza lavoro. È poco chiaro come si possa procedere a un licenziamento collettivo con una cassa integrazione guadagni pagata dallo Stato e che prevede corposi interventi di ristrutturazione degli impianti; sembrano esserci requisiti di illegittimità che chiariremo nelle sedi competenti. Non è chiaro come questa azienda possa continuare a esistere con 16 dipendenti residui. E’ sicuramente impossibile tecnicamente e a noi sembra che la proprietà si stia divertendo a seminare panico e a scherzare con il futuro di 142 famiglie. Il bilancio sociale di questa azienda è veramente misero, mentre dovrebbe ringraziare un territorio che l’ha accolta da circa trent’anni. Aspettiamo la convocazione nelle sedi competenti per chiarire tutti i dubbi del caso, ricordando, prima a noi e poi alle autorità competenti che avevamo allertato in periodi non sospetti. Siamo di fronte a un’azienda che gioca con la vita di 142 famiglie e che, dopo 14 mesi di cassa integrazione, non mette in preventivo che tanti dipendenti della Vibac sono in una condizione economica di forte disagio sociale e che gettare benzina sul fuoco rischia di far esplodere la rabbia di chi non vede un futuro che invece noi vediamo. Aspettiamo di essere convocati al più presto per mettere sui giusti binari questa iniqua e irresponsabile procedura di licenziamento collettivo». Abbiamo interpellato il segretario della Uilctem, Carlo Scarati, che ha messo in evidenza l’importanza del confronto a livello nazionale: «Da ora il confronto sarà nel merito delle questioni, il tavolo nazionale che si aprirà metterà a nudo le criticità reali del sito di Termoli perché una procedura di mobilità per 126 lavoratori (di fatto ne rimarrebbero solo 16) ed allora perché no, chiusura completa, molto più semplice da gestire di fronte eventuali contenziosi. Pertanto, finalmente dopo un anno, la proprietà dovrà palesarsi con le richieste “reali” non celandosi dietro la crisi energetica che sicuramente li ha colpiti ma un gruppo tra i più solidi in Italia in questo settore merceologico non può chiudere Termoli per un problema di mercato ovviabile (alla luce del fatto che i nostri Lavoratori sono impegnati a risolvere i problemi in Serbia come a Vinci)». Polemica politica, invece, quella sollevata dalla “Costituente Comunista”, con Giovanni Moriello e Michele Giambarba, che parla di «Ennesimo regalo ai lavoratori! I lavoratori sono già nel pieno di una cassa integrazione straordinaria che finirà a luglio 2023 ed era stata firmata perché erano necessarie alcune modifiche sostanziali (riduzione delle produzioni sulla Linea 4; rimodulazione delle altre linee con riduzione delle giornate lavorative settimanali che da sette su sette passavano a 5 su 7 solo per citarne alcune) ma non si era mai parlato di riduzione di personale anche se, nel frattempo, sono stati licenziati circa 50 interinali che costituivano circa il 25% della forza lavoro. Rimane poco chiaro come si possa procedere ad un licenziamento collettivo con una cassa integrazione guadagni pagata dallo Stato e che prevede corposi interventi di ristrutturazione degli impianti. Non siamo gli unici a ravvisare probabili requisiti di illegittimità. L’unico dato certo è che con 16 dipendenti l’azienda è destinata a soccombere ed a farne le spese, come sempre, saranno, in questo caso, le famiglie dei 142 lavoratori licenziati! Noi comunisti di costituente comunista, siamo vicini alle famiglie ed ai lavoratori che rischiano di vedere cancellati 30 anni di lavoro su un territorio già mortificato sul piano lavorativo. Ci auguriamo che le scelte che verranno adottate indichino il reintegro dei lavoratori ed il ripristino della condizione lavorativa antecedente a questa decisione. Vigileremo affinché tutto si risolva per il meglio e chiediamo ai responsabili regionali di vigilare su quello che, di fatto, potremmo definire un licenziamento collettivo!».