Pasqua numero 17 per il vescovo Gianfranco De Luca alla guida della diocesi di Termoli-Larino, la prima fu nel 2007, dopo il suo arrivo nell’estate precedente. Un’altra epoca. Nella benedizione il presule ha parlato di come tra noi e Gesù ci sia una sintonia cercata prima di tutto da lui e donata a ciascuno di noi. Questa consapevolezza ci porta a cogliere una verità, attraverso le parole della preghiera di San Paolo VI. «O Gesù, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario per vivere in comunione con Dio Padre. Per diventare con te che sei figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi. Per essere rigenerati dallo Spirito Santo. Tu ci sei necessario, o solo vero Maestro della verità». Una Pasqua particolare, in un contesto di ampia sofferenza, sociale e non solo. Ma dove si intravede un messaggio di speranza, quello che viene da un progetto che lo stesso vescovo lascia in eredità alla comunità: il Villaggio Laudato Si’. Partiamo da questo nel proporre l’intervista consueta di Pasqua, partendo dall’insegnamento diretto di Papa Francesco. Perché monsignor De Luca ci ha messo a parte di come è nata questa idea dedicata ai disabili. «La speranza anche in papa Francesco che ha risposto “Sono vivo”, ha dato segni chiari di questo esserci come sempre. Certo l’età è quella che è, gli acciacchi sono quelli che sono però, io penso che, anche come lui vive questa umiliazione, dell’uso della carrozzella, del doversi appoggiare perché non riesce a stare in piedi in modo continuativo, questa debolezza, questa fragilità lo rende più prossimo a noi. Ma rende ancora più forte il suo messaggio e, soprattutto, i suoi gesti. Quando sono arrivato a Termoli, i primi giorni passeggiavo per conoscere la città. A un certo punto mi venne incontro una persona con disabilità che mi gridò “Vescovo, pensa a noi”. Si chiama Raffaele. Questo mi ha ferito, nel senso che mi sono sentito impotente ma dopo 8 anni, Raffaele l’ho rincontrato a “Opera Serena” e mi ha detto “vedi dove sono finito? Mio padre e mia madre sono venuti meno e mio fratello non è che non mi vuole bene, mi viene a trovare tutti i giorni ma a casa sua non c’è posto”. Fu un altro colpo per me. Quasi a fine mandato del mio servizio qui, ho ricevuto una chiamata da una persona anziana che non conoscevo che mi ha detto che voleva fare un’opera di bene restando anonima, mi ha messo in mano una somma considerevole. Nel vescovo, questa città, ha trovato un punto di riferimento. Un dono che il Signore ci fa perché il luogo è centrale e lo abbiamo voluto chiamare “Villaggio Laudato sì”, perché è un luogo educativo all’accoglienza della diversità e al rispetto della persona, che va messa sempre al centro, e alla valorizzazione delle diversità anche quando sono segnate dalle disabilità. La persona al centro, la persona protagonista e, questo villaggio è pensato proprio per questo. Ci sono anche delle attrezzature sportive, normate per le persone con disabilità ma accessibili a tutti e gestite dalle persone con disabilità. C’è una struttura riabilitativa che si sviluppa su due piani, una piscina riabilitativa e c’è un luogo per il cosiddetto “Dopo di noi”. Ora la cosa importante è che nasca un movimento, un’associazione di tutti quelli che vogliono fare cultura su questo tipo di ragionamento. Un segno forte per la città ma soprattutto voluto dalla città. Per questo chiedo a chi si sente coinvolto e a chi può di essere generosi e di partecipare a questa sottoscrizione che abbiamo aperto. Tenteremo tutte le strade per realizzarlo. Ho visto molto coinvolta l’amministrazione comunale e anche i singoli consiglieri di tutte le parti, ed è normale perché è una realtà che riguarda la città. Io tra un anno, un anno e mezzo non ci sarò più per cui non ci devo mettere il cappello sopra, però sarei contento che il progetto venisse avviato. Forse non lo vedrò concluso ma sicuramente se la prospettiva si concretizza è la gioia più grande che il Signore mi può dare». Monsignor De Luca si sofferma anche sulla guerra, che attraversa il nostro tempo da una Pasqua all’altra. «Questo ci rattrista. C’è tutta l’umanità che piange, e lo sguardo della fede ce lo fa vedere. E’ un’umanità ferita, è il pianto di Gesù Cristo che ha fatto sue tutte queste contraddizioni nelle quali ci troviamo e, di volta in volta, ci ricadiamo.
Per la Pasqua, un augurio che possiamo fare è quello che ci riguarda personalmente, e parte dallo sguardo su come Dio si comporta con noi. Al male risponde con il bene. Al male non risponde con il male, ma quel male l’ha fatto suo e lo ha trasformato in amore. Questo dà speranza all’uomo altrimenti dovremmo dichiarare il fallimento totale. Il fatto che al male è stato risposto con il bene, significa che questo amore ha trionfato nella Resurrezione di Gesù, e ci induce a sperare. Tutto questo diventa un invito. Ognuno di noi nel proprio piccolo, in casa, con i vicini di casa, nel lavoro e così via, può rispondere al male che riceve con il bene.
Questo Gesù dice ed è tipico del cristiano, il perdono, la misericordia che abbiamo ricevuto, proprio perché l’abbiamo ricevuta possiamo donarla agli altri. Il concetto di umiltà è fondamentale. Questo è lo stile della chiesa, lo stile di Dio, perché Dio ha creato tutto ma si è tirato indietro perché rispetta la nostra libertà.
E’ lo stile di Gesù che nel Vangelo non dice mai “devi” ma “se vuoi”, perché è un appello alla libertà. Questo è l’atteggiamento che la chiesa deve avere, accoglienza e rispetto della libertà dell’altro. Mettersi a servizio perché l’umiltà significa non solo un’assenza ma anche un’accoglienza del servizio presso gli altri.
Lo dobbiamo imparare tutti. Uscire dalla logica di questo mondo, che è la logica del potere, del dominio ed entrare nella logica del servizio come ci dice Gesù, “Se io che sono il Signore e maestro ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni degli altri. Imparate da me”.
Questo è il senso profondo. In questo dobbiamo crescere, non dobbiamo guardare più nessuno dall’alto in basso, non siamo noi che dobbiamo essere ascoltati ma dobbiamo ascoltare. Dobbiamo metterci in ascolto e aiutare gli altri. E’ proprio dall’incontro che può scattare qualcosa di nuovo, una comprensione nuova.
Lo vedo anche in questi giorni, in queste visite pastorali in queste piccole comunità. L’ascolto di quei pochi cristiani che si ritrovano e dicono la loro sulla loro vita di comunità, sulla vita della parrocchia e sui bisogni che ci sono sul territorio, e questo mettere insieme tutte queste cose ci aiuta a trovare delle piccole strade ma soprattutto dalla condivisione nasce la forza della condivisione stessa.
La Pasqua è un annuncio di speranza dentro un grido di dolore, perché nella Pasqua si consuma un dramma, la morte del figlio di Dio. Questo grido è il riassunto di ogni dolore di ogni tempo e anche dell’oggi della storia. Dentro questo grido di dolore che Dio ha fatto suo, che è diventato anche un grido di dolore rivolto al Padre, Gesù sperimenta la lontananza. Ma Dio non ha niente a che fare con il dolore e con la sofferenza, Dio è altro, è amore, è pienezza di vita. Gesù ha fatto suo questo grido, questa sofferenza e, dentro questo grido c’è l’irruzione di Dio. Gesù viene raggiunto dalla potenza del Padre, dall’amore del Padre, resuscitando.
La parola definitiva, quindi, non è la morte, non è la sofferenza ma è la vita. Auguri di una Santa Pasqua soprattutto a quelle famiglie che hanno dei figli con disabilità. Ho colto la loro dedizione, sia dei papà che delle mamme, in modo diverso ma con devozione profondissima.
Gesù ci ha insegnato che ognuno di noi vale la sua vita, per cui ognuno di noi va rispettato. C’è qualcuno che, però, somiglia di più a Gesù, perché ci mettono in contatto e ci fanno capire fino a che punto Dio ci ama». EB

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