«Quando la morte è uno scandalo». Se nel corso degli anni c’è stata una forza politica che si è spesa sul territorio nell’ambito della rete associativa che si prende cura dei soggetti meno fortunati è la Rete della Sinistra-Termoli Bene Comune, che con Marcella Stumpo è rappresentata in Consiglio comunale, e che, comunque, coi suoi attivisti si prodiga con Città invisibile e non solo per dare servizi a chi non ha nulla. Per questo, la tragedia del clochard arso vivo a Pozzo Dolce è stata subita in modo particolare. «Come scriveva nel 1600 il poeta inglese John Donne, la morte di ogni uomo ci diminuisce, perché siamo parte dell’umanità.
Ma ci sono morti che sono vere e proprie pietre d’inciampo per le coscienze attente, morti che davvero non ci fanno dormire la notte: semplicemente perché non dovevano accadere, perché erano così facilmente evitabili, perché gridano a voce altissima i nostri miserevoli fallimenti come comunità.
Ecco, l’altro ieri sera c’è stata proprio una di quelle morti. Ancora non sappiamo come, ma sappiamo certamente perché: a Termoli scivolano intorno a noi, invisibili agli occhi e quel che è peggio al cuore, persone fragili che da sempre non vogliamo vedere. Non sono tantissime, e costituiscono dunque un tema sociale che sarebbe stato relativamente facile affrontare e provare a risolvere.
Solo che si è scelto sempre, consapevolmente, di lasciarli nell’invisibilità.
Non tutti, certo; tanti di noi collaborano con la Città Invisibile (nome decisamente non casuale), con la Caritas e con gli altri enti volontari che cercano di lenire solitudine, freddo, fame.
Chi ha il potere (e il dovere) di programmare interventi più strutturali, però, ha sempre latitato: per incuria, per diffidenza, per scelta politica. Con giustificazioni apparentemente “valide”, certo: la sempreverde scusa “non abbiamo i fondi”, quella della pericolosità sociale (sono tutti ubriaconi, drogati, violenti, non recuperabili), la convinzione che molti senza tetto lo sono per volontà propria, la mancanza di fiducia verso le soluzioni più avanzate per il problema della marginalità, come l’Housing first, la preferenza per il ricorso alle strutture di dormitorio, dove però dopo venti giorni continuativi devi tornare in strada. Regola che può essere valida solo ove ci siano tantissime richieste, in particolari periodi: mentre ci risulta che in questi giorni non ci sia affatto il tutto esaurito nelle due strutture cittadine, e fuori restano invece molti disperati.
Senza contare che i dormitori sono un aiuto, ma non una soluzione: per il resto della giornata i senzatetto sono esposti a freddo, fame, intemperie, o al caldo atroce delle estati da cambiamento climatico.
Questa morte è uno scandalo, dunque; ma lo è anche per il luogo dove si è consumata: Pozzo Dolce, il simbolo dello scempio ambientale che si voleva (e purtroppo si vuole ancora) perpetrare nel cuore della città. Pozzo Dolce, che attira come il miele speculatori e palazzinari per la centralità e la bellezza del contesto. Pozzo Dolce, lasciato consapevolmente, con strategia calcolata, al progressivo abbandono e totale degrado in modo che poi si potesse chiederne a gran voce la “riqualificazione” .
Nessuno si azzardi ora a sfruttare indegnamente questa morte per far rientrare dalla finestra il nefasto progetto del tunnel, dicendo che ora più che mai si deve intervenire sull’area: lo ripetiamo, Pozzo Dolce è ridotto così per …come vogliamo chiamarla? “disattenzione volontaria prolungata” forse?
Abbiamo quindi più pietre d’inciampo sulle quali fermarci a riflettere, tanto più che si sono già levate le sirene stridenti delle varie campagne elettorali per l’anno prossimo: una, la più pesante, è la responsabilità istituzionale, ma anche collettiva, di guardare in faccia finalmente il disagio abitativo, sociale, affettivo che abita invisibile ai più le vie di Termoli, ed essere capaci di cominciare a costruire le soluzioni: in primis l’Housing first, vero però, con case dove sia possibile non solo avere riparo ma anche trovare aiuto per superare dipendenze e disadattamenti, e riprendere a pensare un reinserimento lavorativo e magari un ruolo attivo nella società.
L’altra è la necessità di spezzare i nodi speculativi legati all’urbanistica, vero fulcro della bellezza o della morte di una città: coinvolgere i cittadini nelle scelte, avere una visione d’insieme che non può essere quella di dire sì ad ogni proposta dei costruttori, tutelare la memoria storica e paesaggistica, avere cura di ogni luogo della città, per impedire ciò che è successo a Pozzo Dolce: la morte di un essere umano, conseguenza anche della morte scientemente voluta di un pezzo del nostro bene comune più assalito e svenduto, il territorio.
Sono dunque, questi, due tra i temi più scottanti che chiunque voglia proporsi per guidare Termoli nei prossimi anni non potrà fare a meno di affrontare; non certo gli unici, ma ciò che è successo ieri li pone tra i più ineludibili. E ci auguriamo che si vorrà avere la coscienza e l’onestà di non voltarsi dall’altra parte, e di trovare finalmente l’impegno finora del tutto mancato.
Non dimentichiamo Pozzo Dolce: dall’altro ieri significa anche che il degrado uccide. E quando il degrado è tollerato e voluto, e si fa finta di non vedere gli invisibili, la morte non è mai casuale».

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