A poco più di tre giorni dal tragico schianto costato la vita al 13enne Flavio Cistullo la città di Termoli si è stretta attorno alla madre Francesca e alla sorella Sofia, mentre il papà Riccardo lotta ancora nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Cardarelli di Campobasso. Conseguenze di quel maledetto pomeriggio dove l’auto guidata dal padre è finita contro l’autobus della Sati, spezzando una vita ancor tutta da sviluppare. Tralasciando gli aspetti di cronaca, è la narrazione di uno dei funerali più struggenti ai quali abbiamo mai assistito a prendere la scena, sì perché una delle chiese più grandi e ampie del territorio, quella centralissima di San Timoteo, non è riuscita a contenere tutti coloro che hanno voluto tributare l’ultimo saluto a Flavio. All’interno delle mura consacrate uno spillo non sarebbe caduto e l’intera scuola media Maria Brigida ha voluto essere presente, con dirigente, docenti, personale Ata e alunni, naturalmente, pronti a ricordare nel loro cuore il “Flavietto” che ha insegnato loro a sorridere. L’auspicio è che le condizioni di papà Riccardo presto trovino la via dello scioglimento della prognosi, perché la famiglia ne ha bisogno, assolutamente, sia come conforto morale che materiale. Per intanto, viste le condizioni di difficoltà in cui sono piombati, proprio durante le esequie di ieri don Benito Giorgetta, il parroco che le ha officiate, ha lanciato l’appello per una colletta a sostegno di madre e sorella di Flavio. Il feretro del 13enne è partito in corteo dalla casa funeraria Bavota di via dei Roveri intorno alle 14.45, per giungere intorno alle 15 in corso Fratelli Brigida, dove sin dal mattino erano stati anche diffusi cartelli che chiedevano di lasciare libera la sosta negli stalli prospicienti alla parrocchia. Così è stato, a onor del vero e anche la Polizia municipale ha prestato la propria opera, chiudendo il traffico all’arrivo e all’uscita della bara dalla chiesa. Tantissime, come dicevamo le persone che sono accorse a San Timoteo, mentre all’esterno petali bianchi di rose sono state disseminate per terra e la bara bianca ha fatto un ingresso caratterizzato da un dolore compostissimo da parte dei familiari, ma diremmo dell’intera folla che ha gremito ogni angolo dell’edificio di culto. Le parole di don Benito Giorgetta sono state piete scolpite nell’immaginario collettivo:
«Non ci sono parole. Mancano le parole. Non abbiamo parole appropriate per questa circostanza. Il vocabolario umano non contiene parole adatte. La bocca stessa stenta ad aprirsi. Il pianto, il dolore, le lacrime sono protagonisti in questo momento di mestizia. Piuttosto la ribellione vorrebbe prevalere, sulla paralisi e la latitanza delle parole. Le domande affollano la mente, intasano il cuore, appesantiscono i sentimenti, annebbiano la lucidità mentale. Credo che neppure l’intelligenza artificiale sarebbe capace di articolare e di comporre poche righe. Anche a lei, benché meccanica, mancherebbero le parole.
Perché tutto questo? Perché la nostra presenza qui, oggi, senza aver preventivato questo appuntamento, senza averlo annotato per tempo nelle nostre agende? Perché siamo stati costretti a mettere da parte tutto per essere qui?
Se mancano le parole, mancano anche le ragioni che pretenderebbero di spiegare qualcosa di cui prima o poi conosceremo le dinamiche, le cause di quanto accaduto. Ma tutto questo non riscalderà il cuore. Mancherà sempre una presenza, un sorriso. Mancherà un bambino. Mancherà Flavio che era un bambino speciale. Allora anche il dolore del distacco è speciale proprio come lui. Alla tavola di casa, all’abbraccio della mamma, del papà, della sorella, degli zii, dei nonni mancherà il sorriso, la turbolenza, l’irrequietezza di Flavio.
Perché è accaduto tutto ciò? Perché Dio lo ha permesso? Credo che queste siano le domande di tutti noi. Se pur drammatiche, legittime, direi anche scontate. Ovvie!
Eccoci ad un bivio. O seppelliamo per sempre la fede, perché siamo in preda alla disperazione e alla mancanza di una risposta, o facciamo il funerale alla fede, oppure la accresciamo, la alimentiamo perché ci rifugiamo in Dio. Nonostante tutto, con le lacrime agli occhi, col cuore ferito si può continuare a credere, ad avere fiducia in chi fra qualche giorno nascerà in una stalla, nella periferia di una grande città, ospite in una mangiatoia, in compagnia di animali, solo con la mamma e il papà perché per loro non c’è stato posto nelle case affollate per il censimento e nei cuori intasati alla ricerca unicamente del proprio comodo. E, tutto questo, Dio bambino, Dio neonato lo ha affrontato per amore di ciascuno di noi.
Ma i perché non si arrendono, bussano ancora più insistentemente alla nostra intelligenza. Ed essa è costretta a soccombere. La morte ci lascia sempre senza parole. La morte ci paralizza e ci fa sperimentare la nostra sterilità, la nostra finitudine, il perimetro oltre il quale non possiamo straripare. Allora se mancano le parole dobbiamo rifugiarci nella Parola. La Parola di Dio è l’unica capace di scioglierci dalle nostre prigionie. L’unica capace di guarirci dalle paralisi. Lei sola che può illuminare il buio della mente, la sterilità del cuore e il deserto dell’anima. Solo la Parola di Dio è capace di farci guardare oltre nonostante l’evidenza ci inchiodi e ci costringa a vedere una bara con un corpicino troppo prematuramente e troppo tragicamente sottratto all’affetto dei suoi cari.
La Parola ci ha parlato. L’abbiamo ascoltata. Essa ci ha detto:
“Le anime dei giusti sono nella mani di Dio, nessun tormento le toccherà”.
Ho volutamente scelto questo passo del libro della Sapienza perché tu, Francesca, nel momento i cui ci siamo incontrati presso la bara di Flavio con la tenerezza che solo una mamma può avere nei confronti del proprio figlio mi hai chiesto: “Ma ora Flavio è solo? Starà bene in questo momento?”. Si Francesca, si Riccardo, si Flavia, si nonni, zii, amici, conoscenti Flavio è nelle mani di Dio, nessun tomento lo toccherà. Le mani di Dio sono quelle che hanno creato il mondo intero. Quelle che hanno plasmato l’uomo e la donna, quelle che hanno accarezzato, abbracciato, benedetto, quelle che hanno effettuato la moltiplicazione dei pani e dei pesci, porto il pane e il vino trasformato nel suo Corpo e Sangue agli apostoli, quelle che si sono lasciate inchiodare sul legno della croce. Le mani di Dio, come dice il profeta Isaia, e anche questa è Parola di Dio, sono quelle che sul loro palmo portano tatuato il nome di ciascuno di noi, quindi anche quello del piccolo Flavio. Tatuato cioè per sempre. Non esistono mani migliori. Più forti, più tenere, più protettive, più carezzevoli di quelle di Dio.
Poi il libro della Sapienza continua:” Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace”. Ecco dov’è Flavio. Nell’abbraccio di Dio. Lui lo saprà amare in eterno più di quanto non abbiamo saputo fare noi e meglio di come ci siamo sforzati dii fare tutti noi, ciascuno per il suo ruolo di appartenenza.
Anche la lettera di Paolo ai Romani ci ha ricordato che:” sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”. Mai cessa la nostra appartenenza a colui che ha dato la sua vita per tutti noi perché noi l’avessimo in abbondanza e per sempre.
Il vangelo ci ha ricordato che chi mangia il Pane vivo disceso dal cielo che è Gesù stesso, vivrà in eterno. E Flavio, lo ricordo ancora nel giorno della sua prima comunione in braccio a Riccardo e a Francesca ha mangiato e si è nutrito di questo Pane del cielo; quindi, vive in eterno anche se ha cessato la sua presenza in mezzo a noi ed è difficile se non impossibile crederlo.
Dicevo che mancano le parole. Ho affermato che solo la Parola di Dio è capace di farci transitare verso un oltre che sfugge alla nostra considerazione, ma non basta. Allora per cercare di portare un po’ di sollievo nel cuore di voi familiari, di te Francesca, soprattutto, che stai attraversando assieme a Sofia anche la mancanza di Riccardo, che speriamo recuperi la sua salute, ho pensato, immaginato di far parlare Flavio stesso che vi scrive una lettera. Le sue ipotetiche parole certamente riscalderanno il vostro cuore più di tutti noi.
“Cara mamma, caro papà, cara Sofia, carissimi tutti, questa mattina mi sono svegliato e mi sono vestito da solo. Ho fatto tutto ciò che ogni mattina mi aiutavate voi a fare. Mi sono meravigliato che non avevo più bisogno del vostro aiuto. Anche se non c’eravate era come avervi al mio fianco. La stanza immensa dove sono è pervasa da tanta pace, tutti mi sorridono, sembra che li conosca da sempre, che siamo amici di lunga data. C’è una musica che ci accompagna, uno strano clima di serenità. Sembra che tutti abbiamo la stessa età, che nessuno appare più di altri, sono tutti gentili con me, mi danno la precedenza, mi hanno fatto una grande festa al mio arrivo. Io cercavo di far capire che dovevo prendere le mie medicine, che dovevo fare le mie terapie, che dovevo andare a scuola ma tutti mi hanno detto che ormai non è più necessario tutto questo. Qui non ci sono scuole, ospedali, non si mangia neppure e non ho fame. Qui tutto è più facile. Non studio e so tutto, anche più di te Sofia che stai tanto studiando, non faccio palestra e sono più forte di te papà, non ho mai cucinato e conosco tutte le ricette mamma, poi te le insegnerò, ma dovrai farmi quelle che ti dirò io.
Sapete, incuriosito da tutto questo ho chiesto ai miei amici di andare a vedere sulla porta dove stavamo cosa ci sia scritto perché mi sembra tutto particolare. Unico. Mi hanno accompagnato e, immerso in un mare di fiori coloratissimi e profumatissimi ho visto la scritta: Paradiso. Allora ho capito tutto. Ho iniziato a saltare a fare chiasso come quando ero con voi e vi facevo inquietare perché non mi fermavo mai, ma lo sapete non dipendeva da me. Non riuscivo a dominarmi. Mi venivano come delle scosse incontrollabili. Invece qui saltiamo di gioia tutti. Sembra che abbiamo le ali sotto i piedi. Non mangiamo mai e non abbiamo fame, non dormiamo mai e non siamo stanchi, non beviamo mai né acqua né bibite gassate, quelle che fanno male, e non abbiamo sete. Qui sembra tutto un mondo al rovescio. Non ci annoiamo mai. Non vediamo neppure i cartoni animati, non c’è televisione, né cellulare, né play station ma siamo tutti felici. Poi, ma appena arrivato, mi hanno presentato un Signore anziano con la barba bianca e mi hanno detto che è Dio. Capito? Dio! Ma io ho detto: “Dio mio ma come può essere tutto questo?” E lui subito mi ha detto: “Flavio ben arrivato!” E mi ha abbracciato. Capito sapeva già il mio nome senza fare le presentazioni. Il suo abbraccio mamma mi è sembrato come fosse il tuo, ma anche come il tuo papà e come il tuo Sofia. Mi sono sentito a casa. Poi, cosa ancor più sorprendentemente, mi ha presentato sua mamma. Qui tutti la chiamano la Madonna. Ma che bella che è. Sorridente, accogliente, delicata, accarezza tutti e tutti la seguono. Ora non voglio annoiarvi ma mi stanno facendo conoscere un sacco di persone vissute tanti anni fa ma non mostrano la loro età. Sto conoscendo pure san Basso, san Timoteo, un frate con la barba. Mi hanno detto che è nato a Pietrelcina e poi è vissuto a san Giovanni Rotondo. Mi hanno presentato anche una suora vestita di bianco con delle righe blu. Mi ha detto che si chiama Madre Teresa di Calcutta. Sapete mamma, papà, mi ha detto, lei in persona, di ringraziarvi perché anche voi che, pur avendo me che necessitavo di cure e premure, la sera andavate alla stazione per portare da mangiare a quelli che chiamano barboni, ma mi ha detto che qui non esistono distinzioni siamo solo e tutti figli e fratelli. Difatti mi hanno fatto conoscere anche Alessandro di nove anni. Poverino, bruciato dal fuoco dentro la sua casa di Campobasso, ma anche lui, come tutti noi bambini e ragazzi sorride, è felice.
Ora vi voglio confidare anche una cosa segreta ma approfitto per dirvela a bassa voce: ci stiamo organizzando per fare una manifestazione per la pace. Basta uccisioni in Ucraina, basta uccidere i bambini di Gaza. Basta con tante guerre in tutto il mondo. Ci deve dare una mano Dio stesso. Ma glielo andremo a dire e poi vi sarò sapere. Però per ora acqua in bocca mi raccomando.
Inoltre, quella Signora che chiamano Madonna mi ha suggerito di dirvi delle cose particolari. Di ringraziarvi per il dono della vita che mi avete fatto, delle cure e delle attenzioni che mi avete donato. Grazie mamma, papà, Sofia dei vostri abbracci, dei vostri baci, delle vostre carezze, del tempo che ho rubato a voi per prendervi cura di me che ero un po’ più esigente di tanti altri bambini. Grazie a tutti voi nonni, zii per quanto mi avete donato, per essermi stati vicino. Grazie alla scuola, alla parrocchia, ai compagni di classe, agli insegnanti. Grazie a tutti.
Grazie a tutti coloro che si sono presi cura di me. Grazie a te papà che l’altro giorno mi stavi accompagnando per la terapia. Sai ho pensato che se la possibilità di cura fosse stata da noi a Termoli forse non sarebbe accaduto ciò che è successo. Ma vi assicuro che ne parlerò con quello che qui comanda tutto e dicono che è molto forte. Speriamo che almeno lui possa mettere un po’ di ordine in quel mondo che ha creato e che tanto si sta comportando in modo diverso da come lui si aspetta. Vi prometto che ci metterò una buona parola anche per sanare la malattia della sanità.
A, dimenticavo di dirvi che oggi, straordinariamente, c’è un collegamento con tutti voi proprio in questo momento. Vi vedo, vi sento. Vedo che cantate, pregate, ma vedo pure che piangete. Non piangere mamma, Sofia non piangere. Vedo che manca papà e mi dispiace ma poi chiederò di farmi avere un contatto anche con lui così lo vado a visitare e chiederò di farmelo abbracciare per dargli la forza di essere tenace, di resistere perché dovrà occuparsi di voi tutti.
Però ora vi devo salutare sennò don Benito che sta leggendo questa mia lettera risulterà troppo lungo e noioso. Grazie a tutti voi per aver fatto compagnia a mia mamma, mia sorella e ai parenti tutti. Non fatelo solo oggi. Accompagnateli sempre. Pregate per il mio papà. E a voi tutti genitori che avete i vostri figli non deludeteli, non litigate, abbracciateli, prendetevi cura di loro. Voi lo potete ancora fare. Un’ultima cosa: vogliatevi bene tutti, rispettatevi, accoglietevi, prendetevi cura dei più poveri, dei bambini speciali in modo particolare. Ora vi devo proprio salutare, mi stanno chiamando. Un bacio a voi tutti. Ciao”.
Ecco alcune parole che assieme alla Parola di Dio e alla preghiera che stiamo facendo siano di conforto e di consolazione a voi familiari di Flavio e grazie per l’esempio che ci avete donato per come avete accudito Flavio nel suo cammino qui in mezzo a noi. Grazie a te Francesca che con l’aiuto di Riccardo e Sofia hai trovato, per come hai potuto, anche il tempo d’essere catechista e parte del nostro coro dei Cherubini. Da oggi canterà con loro anche un angelo speciale. Grazie della vostra testimonianza di fede. Ci auguriamo che sia seme che possa germinare ed esempio da poter emulare. Un abbraccio a voi da parte di tutti noi.
Il Signore vi custodisca e vi protegga. E ora tutti assieme continuiamo a pregare per Riccardo e ringraziare Dio per il Dono che è stato ed è Flavio. Sappiate che avete un santo in cielo, un angelo che anche se tremendamente vi mancherà, ci proteggerà tutti. Voi in modo particolare».
La zia così ha voluto rivolgersi alla comunità, presente in chiesa, e chi non c’era: «Desideriamo ringraziare tutti per averci manifestato vicinanza per l’immane tragedia. I doni che tornano indietro sono. A te Flavio piccolo combattente ricorda tuo papà ha illuminato la casa con lui i che resteranno accese per sempre per indicarti la via del ritorno. Noi siamo sempre con te con amore». Poi, mamma Francesca: «Riccardo oggi non può essere con noi per questo leggo questa poesia scritta per Flavio l’anno scorso:
“A Flavio
Se tu non puoi parlare,
se tu non puoi correre,
Se tu non puoi giocare
se tu non puoi amare,
preste mi i tuoi sogni,
proverò a farli volare io,
urlando forte il tuo nome,
così il cielo capire che sono i tuoi,
figlio mio”.
Dopo la benedizione, l’uscita della bara bianca, col lancio di confetti e stretti tutti attorno a Flavio, un’ultima volta, sempre con massima compostezza, la diffusione del brano “Il Cielo” di Renato Zero, con cui l’anima del ragazzino è salita in cielo, accompagnata dal lancio di palloncini bianchi e blu, col feretro in movimento e un fragoroso applauso a salutarlo in questa sua dipartita terrena.

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