Il deposito del progetto ridimensionato per alcune parti, soprattutto con la riduzione di pale eoliche a mare e l’eliminazione della centrale a idrogeno nel nucleo industriale, ha riaperto anche il dibattito politico sull’Eolico offshore Molise, la cui ipotesi è stata avanzata dalla società Maverick srl. Dall’inizio della vicenda tra i più critici c’è la Rete della Sinistra, che con la capogruppo Marcella Stumpo e Pino D’Erminio, oltre agli altri attivisti di Termoli Bene Comune, hanno messo nero su bianco osservazioni sia nella prima fase che nella seconda. Rilievi illustrati nella mattinata di ieri, nella sede di via XXIV Maggio, dove ancora una volta si è discussa la capacità realizzativa da parte del sodalizio proponente, che loro considerano solo protagonisti della fase di acquisizione dei permessi, per poi lasciare il passo a chi compiutamente investirebbe le ingenti risorse necessarie. Tuttavia, anche ridimensionato nella sua portata, l’Eolico offshore Molise è fuori cabotaggio per un mare come il nostro, specie nello specchio in cui ora è stato traslato, più prossimo alle Isole Tremiti, creando problemi in prospettiva sia al turismo che alla pesca. Ma vi è di più, per la Stumpo, il Molise ha già dato, non si ravvisa alcuna necessità che si trasformi in ulteriore hub energetico per il resto del Paese, con 1.050 megawatt di potenza. La Stumpo ha ricordato anche le battaglia fatte in passato contro l’approdo della centrale Turbogas di Sorgenia. «Siamo favorevoli allo sviluppo delle energie rinnovabili con un alto grado di compatibilità ambientale e sociale; tra queste, riteniamo che l’eolico, a terra ed ancor più in mare, sia la tecnologia con maggiori possibilità di sviluppo e minore impatto, sia ambientale che sociale. Ciò non toglie che l’implementazione delle tecnologie energetiche “verdi” non può essere indiscriminata e illimitata; occorre necessariamente ricercare e trovare un equilibrio tra la decarbonizzare del settore energetico e le esigenze delle comunità locali, presso le quali si insediano gli impianti energetici “verdi”; esigenze non solo economiche, ma anche di tutela culturale, del paesaggio e dell’ambiente (gli interventi ad inquinamento zero non esistono). La questione energetica e quella ambientale non possono essere affrontate e risolte solo dal lato della produzione, ma anche da quello del consumo. Un caso di successo è la sostituzione delle lampade a incandescenza con quelle a Led. Direzioni verso le quali è possibile muoversi fin da ora sono: l’efficientamento energetico degli edifici; il trasferimento di gran parte del trasporto – merci e persone – dalla gomma al ferro ed al mare; la limitazione del traffico urbano privato, associata ad un poderoso sviluppo dei mezzi pubblici». Dieci le osservazioni presentate. «Il nuovo piano prevede 70 aerogeneratori da 15 Mw per una potenza complessiva di 1.050 MW. La stazione di Larino, destinataria dell’energia nel primo progetto, non è in grado di assorbire tale potenza perché già quasi satura. Nel nuovo intervento, l’energia viene destinata ad una nuova stazione da costruire a Montecilfone, capace di assorbire fino a mille Mw. Benché sia cambiata la localizzazione della stazione Terna di arrivo – spiega D’Erminio nelle osservazioni -non è mutato il punto di approdo del cavidotto marino in Contrada Pantano presso il Biferno. Inoltre la totale opacità in merito ai finanziamenti ed ai finanziatori non solo determina incertezza sulla loro esistenza e consistenza ma pone anche dei problemi in termini di legittimità della provenienza dei fondi. Il parco eolico dovrebbe costare 3,36 miliardi di euro circa e non 2,09 miliardi con una sottostima del 38% rispetto agli attuali costi di costruzione. Nella Relazione, ancora, non si fa parola dei costi di dismissione. Per un impianto a terra sono il 2% dei costi costruzione. Non si prevede, inoltre, lo smantellamento delle ancore e rete dei cavidotti e questo non è accettabile. La pesca a strascico resta impossibile nell’area marina interessata dall’impianto che si estende per 219 km quadrati».
«Sono costretta a riepilogare quanto già segnalato nelle osservazioni inviate un anno fa. Sia Green Bridge srl che la controllata Maverick srl sono riconducibili alla persona fisica di Roberto Lucarelli, unico addetto di entrambe; esse non dispongono di dipendenti né di un ufficio operativo, ma solo di una sede legale in Via dei Bossi, n. 6, a Milano, dove ha sede (legale ed operativa) la multinazionale di mediazione di affari McDermott, Will & Emery. Le due società non possono neanche vantare importanti disponibilità finanziarie: Maverick ha 2.500 euro di capitale sociale; Green Bridge dispone di 10.000 euro di capitale sociale e, da bilancio 2022, di un patrimonio netto di 66.547 euro. Allora chi e come dovrebbe finanziare un progetto il cui costo di realizzazione è (sotto)stimato in poco più di due miliardi? Nella tabella sintetica dei rischi, si afferma che il rischio finanziario è «Assente» [e che] «Le attività verranno interamente finanziate con fondi privati». Spiegazione che non spiega niente, in quanto non è dato sapere quali sarebbero queste fonti private di finanziamento, sicure al 100%. La totale opacità in merito ai finanziamenti ed ai finanziatori non solo determina incertezza sulla loro esistenza e consistenza, ma pone anche dei problemi in termini di legittimità della provenienza dei fondi. All’interno del lungo elenco dei rischi che possono interessare il progetto, spicca per la superficialità e l’inconsistenza con cui è trattato proprio il rischio di finanziamento, pur correttamente definito: ‘Questo rischio deriva dal mancato reperimento delle risorse finanziarie a copertura dei costi e nei tempi prestabiliti per realizzare l’impianto eolico’ (pag. 269). La valutazione dei rischi è sviluppata secondo le classiche tre componenti: probabilità, intensità (nella relazione è detta “magnitudo”) e impatto, valorizzate in base a coefficienti che vanno da zero (minimo) ad uno (massimo). Nella tabella della stima dei rischi al rischio di finanziamento viene attribuito valore zero sia alla probabilità che all’intensità (“magnitudo”), mentre all’impatto è attribuito il coefficiente uno. (pag. 271)
Detto in maniera discorsiva, l’eventuale mancanza o insufficienza del finanziamento avrebbe un impatto massimo, ovvero renderebbe impossibile realizzare il progetto, ma che ciò si verifichi, anche solo in parte (“magnitudo”), è considerato impossibile (probabilità zero); cosicché – secondo la Relazione progettuale – il rischio di finanziamento semplicemente non esiste. Come ho già scritto nelle osservazioni di un anno fa, il profilo dell’investitore è dirimente, indipendentemente dai contenuti progettuali. In via preliminare occorre la massima chiarezza rispetto a tre requisiti dell’investitore: 1°) la capacità tecnica; 2°) la capacità economica (inclusa la garanzia di dismissione degli impianti, a fine vita utile); 3°) la provenienza trasparente e lecita dei capitali da investire. Nel caso di specie, allo stato attuale nessuno dei tre requisiti è soddisfatto.
Attualmente il costo di costruzione di un parco eolico flottante è intorno ai 3,2 milioni per Mw installato; pertanto, la nuova versione di EOM, che prevede una potenza installata di 1.050 Mw, dovrebbe costare 3,36 miliardi e non 2,09 miliardi (pag. 263), con una sottostima del 38% rispetto agli attuali costi di costruzione.
Nella Relazione non si fa parola dei costi di dismissione. Essi per un impianto eolico a terra sono intorno al 2% dei costi costruzione. Per l’eolico in mare non esistono riscontri consuntivi, trattandosi di una tecnologia troppo giovane. Quanto alle operazioni di dismissione, «I cavi e gli impianti onshore verranno lasciati in sito in quanto verranno utilizzate per attività terrestri.» (pag. 249); mentre in mare ‘Si prevede un integrale smantellamento dell’impianto ad eccezione delle ancore e dei cavi sottomarini’ (pag. 243). Il mancato smantellamento delle ancore e della rete dei cavidotti, dagli aerogeneratori alle due cabine di trasformazione (136 km in totale) e dalle cabine di trasformazione a terra (31 km), non è accettabile, perché rappresenterebbe un impedimento permanente della pesca a strascico ed un intralcio agli ancoraggi nello specchio di mare dato in concessione.
Il primo progetto chiedeva la concessione di 295 kmq, quello nuovo ha ridotto le “pretese” a 219 kmq, ma rimane uno specchio di mare enorme. La Relazione progettuale cerca di sminuirne l’impatto: lo specchio di mare dato in concessione non sarebbe del tutto interdetto alla navigazione, ma prevederebbe le seguenti “zone di sicurezza” (fasce di rispetto): entro 100 m per parte dei cavidotti divieto di ancoraggio e di pesca a strascico; entro il raggio di 100 m dagli aerogeneratori divieto di qualsiasi attività, oltre ed entro 200 m di raggio, divieto di pesca a strascico; per le cabine di trasformazione divieto di qualsiasi attività entro 150 m, oltre e fino a 500 m divieto di ancoraggio e di pesca a strascico. (pag. 60). In pratica, la pesca a strascico è impossibile in tutta l’area, mentre la semplice navigazione è teoricamente possibile con un continuo slalom tra i 70 aerogeneratori e le due cabine di trasformazione, dunque anch’essa in pratica vietata per naviglio commerciale merci e passeggeri. Si cerca anche di sostenere che l’area destinata al parco eolico non sarebbe poi tanto importante per l’economia del mare, sovrapponendo il layout del parco ad una mappa del traffico marittimo (all. A), dalla quale risulta l’occupazione di aree in parte a medio traffico (arancioni) ed in parte a basso traffico (celesti), resterebbero dunque intatte le aree ad alto traffico (rosse). Il raffronto è scorretto, perché confonde le attività di pesca e quelle commerciali; infatti, le rotte “rosse” sono quelle da e per le isole Tremiti e da e per le piattaforme Edison-Eni. Se invece si osserva la mappa delle attività di pesca (all. B), lo specchio di mare de quo è interessato da un’intensità di pesca elevata (arancione) e media (giallo)».