L’Automotive nel Mezzogiorno è in ambasce. Lo dice, dati alla mano, la Svimez. «In questo quadro di difficoltà dell’industria europea ed italiana dell’Auto, il peso dell’industria automobilistica del Mezzogiorno è ancora molto rilevante, soprattutto se ci focalizziamo sulla fabbricazione di autoveicoli. Nel 2023, l’82% della produzione nazionale di autoveicoli (751 mila) ha avuto luogo negli stabilimenti situati a Pomigliano, Melfi, e Atessa, che hanno prodotto 615 mila autoveicoli. Nello stabilimento abruzzese di Atessa, si concentra l’intera produzione nazionale di veicoli commerciali leggeri, che nel 2023 ha superato le 230 mila unità (+12% sul 2022), lontana dal picco di 400 mila unità del 2017, ma pari al 31% della produzione complessiva di autoveicoli. Nelle regioni del Sud, si concentra dunque la presenza dei grandi impianti di produzione finale, frutto dello storico processo di “meridionalizzazione delle produzioni Fiat”, iniziato già negli anni ’70. Questo tratto è particolarmente marcato in Molise e in Basilicata, dove gli addetti di Termoli e Melfi rappresentano rispettivamente l’82%. Gli occupati direttamente o indirettamente riconducibili alla filiera Automotive sono circa 300mila, più della metà dei quali in Campania (30% degli addetti) e Puglia (21%), seguite da Sicilia (21%) e Abruzzo (11%). In valori assoluti, da evidenziare anche il dato occupazionale del Molise (4.779), così della Basilicata (8.224). Ad aggravare il quadro, i vertici di Acc – joint venture di Stellantis, Mercedes e Total – hanno sospeso l’investimento da oltre 2 miliardi per la realizzazione della gigafactory per la produzione di batterie a Termoli, che avrebbe dovuto occupare circa 2 mila addetti. I fondi del Pnrr che vi erano stati destinati (250 milioni circa) attraverso contratto di sviluppo sono stati dirottati altrove, a causa dell’impossibilità di spenderli entro il 202639. Il significativo ridimensionamento produttivo di Stellantis ha già avuto e avrà pesanti ripercussioni sui livelli occupazionali, portando allo sciopero generale del comparto Automotive proclamato dai sindacati di categoria nell’ottobre 2024. Se dal 2014 si stimano circa 11 mila addetti in meno nel complesso degli stabilimenti Stellantis, nel solo 2024 sono previste quasi 4 mila uscite con incentivazione all’esodo, a fronte del blocco delle assunzioni. A fronte della capacità produttiva di Termoli in termini di motorizzazioni ibride, Stellantis ha deciso di portare tutte le motorizzazioni presso lo stabilimento francese di Tremery-Metz, al punto che alcuni addetti molisani sono in trasferta presso tale stabilimento. Data la crisi del comparto, il biennio 2023-2024 è stato segnato da un confronto acceso tra il Governo italiano – il Mimit in particolare – e Stellantis, circa le cause della crisi, le misure da adottare e le responsabilità dell’unico grande costruttore presente in Italia. Il rallentamento delle vendite del Gruppo in Italia non è tale da spiegare il crollo dei volumi produttivi. Per di più, a prescindere dagli incentivi e dalla recente debolezza della domanda, la riduzione delle immatricolazioni del Gruppo avviene nel quadro di un mercato nazionale che dovrebbe chiudere l’anno in positivo. Stellantis sta gradualmente perdendo quote del mercato italiano, mentre la produzione dei modelli più rilevanti è stata delocalizzata, minacciando i volumi produttivi nazionali e l’occupazione negli stabilimenti e nell’indotto. Nel caso italiano, la rilevanza delle politiche pubbliche è oggi ancora più marcata, considerato il crescente disimpegno dell’unico costruttore nazionale rispetto al mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali, che ha portato negli ultimi mesi a uno scontro anche con le imprese della componentistica. Se questo processo sarà lasciato a sé stesso, le ripercussioni sull’economia e sul sistema produttivo italiano saranno rilevanti, specialmente nel caso del Mezzogiorno, la cui filiera è ancora legata a doppio filo con gli stabilimenti Stellantis. Nel breve periodo, la rilocalizzazione dei modelli strategici – a partire da quelli di largo consumo, come la Panda – giocherà un ruolo cruciale rispetto alla difesa della filiera meridionale. Nel generalizzato rallentamento del mercato elettrico (BEV e PHEV) europeo, le produzioni mild hybrid potrebbero fornire il tempo necessario a sviluppare sul territorio la produzione di batterie e la relativa filiera, così come un’adeguata infrastruttura di ricarica. Se allarghiamo l’orizzonte temporale, il potere negoziale dello Stato può aumentare solo grazie all’ingresso di nuovi attori sul territorio nazionale. L’ingresso di costruttori esteri e la produzione – non il mero assemblaggio – di veicoli elettrici può rappresentare una opportunità di sviluppo per il Mezzogiorno e non solo un’operazione di carattere difensivo, anche al fine di recuperare terreno sul versante dell’innovazione e delle catene di fornitura delle batterie». In merito si è espresso anche Roberto Gravina (M5S): «Il Molise sta vivendo una delle crisi industriali e occupazionali più gravi della sua storia recente, accentuata da politiche inadeguate e tardive da parte del Ministro Urso e del Governo Meloni. La revoca dei fondi Pnrr per la Gigafactory di Termoli è solo l’ultimo esempio di una gestione inefficace e poco lungimirante che, di fatto, abbandona i lavoratori e l’intero comparto industriale molisano. Il Molise registra una delle peggiori performance occupazionali rispetto al periodo pre-pandemia, con un calo del -2,0% degli occupati. Ma soprattutto, la regione continua a essere caratterizzata da un tessuto economico fragile, ancora dipendente da settori tradizionali e incapace di attrarre investimenti e competenze per sostenere una transizione verso modelli industriali più resilienti e innovativi. Se dunque possiamo essere soddisfatti – come peraltro prevedibile – del settore delle costruzioni, a conferma di quanto già detto in passato per via degli importanti impatti che prima il bonus 110% e poi il Pnrr hanno avuto, restano tuttavia presenti i timori legati all’esaurimento di questi finanziamenti nel medio periodo, in un’economia, quella molisana, ancora troppo legata a settori tradizionali. La riduzione del valore aggiunto industriale è il sintomo di una politica industriale inesistente, incapace di rispondere alle sfide della diversificazione e dell’innovazione. In questo contesto, l’assenza di un piano credibile per la Gigafactory di Termoli non solo priva il Molise di un’occasione storica per la trasformazione del suo sistema produttivo, ma amplifica le incertezze per migliaia di lavoratori e famiglie. È evidente che la crisi del comparto industriale automotive, di cui la Gigafactory di Termoli è un tassello fondamentale, richiede un intervento diretto da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri. Non possiamo più permetterci il lusso di rincorrere gli eventi con proposte dell’ultimo minuto, spesso già superate dai fatti e dalla storia. La lentezza e l’immobilismo del Ministro Urso non stanno solo ritardando le soluzioni: stanno mettendo a rischio l’intero settore. Solo un luogo istituzionale di massimo livello potrà garantire una gestione strategica della transizione verde e delle trasformazioni industriali, evitando ulteriori ritardi”, dichiara Gravina che ha inoltre sottolineato l’importanza di creare un fondo dedicato con risorse certe e una chiara definizione dei tempi per rilanciare il progetto a Termoli. Un’azione che darebbe finalmente ai lavoratori e al territorio risposte adeguate e concrete. Non esiste, a oggi, uno stanziamento alternativo con fondi pubblici per la Gigafactory e questo è inaccettabile. Il M5S ha proposto il ripristino del Fondo Automotive, eliminato dalla manovra del Governo Meloni. Questo fondo rappresenta uno strumento essenziale per sostenere la filiera automobilistica italiana e per tutelare i lavoratori cassintegrati, fornendo loro il necessario supporto economico in una fase di profonda incertezza. Anche su questo punto il ministro Urso ha proposto palliativi che, proprio dal punto di vista stringente delle cifre, appaiono a tutti, forze sindacali comprese, davvero ben poca cosa».