Ancora un operaio “riassunto” in fabbrica dalla giustizia. A Pozzilli, la Proma spa è stata condannata a indennizzare e reintegrare un lavoratore licenziato ormai 10 anni fa.
Nei giorni scorsi si è conclusa la vicenda processuale, con la Cassazione che ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Campobasso che aveva ribaltato la prima decisione del Tribunale di Isernia. In sostanza, i giudici della Suprema Corte hanno dichiarato “l’illegittimità della procedura di mobilità e del licenziamento […], in relazione a tale mobilità” e hanno “condannato la società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, anche presso altro stabilimento di parte datoriale, nonché al pagamento in favore dello stesso di una indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, oltre accessori e regolarizzazione della relativa posizione previdenziale ed assistenziale”.
Con la sentenza, la Cassazione non solo ha rigettato dunque il ricorso ma ha altresì condannato l’azienda “al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge”.
Tra le altre cose, i giudici hanno contestato “la nota di avvio della procedura di mobilità” che “difettava di specificità in ordine alle ragioni per le quali la comparazione, ai fini della individuazione delle unità da collocare in mobilità, era stata limitata al solo personale dello stabilimento di Pozzilli e di quelle che ne impedivano il ricollocamento presso altre sedi della Promo spa”. ‘Bocciati’, inoltre, “gli accordi sindacali raggiunti in caso di procedura” che “non potevano avere efficacia sanante sui criteri di scelta in relazione ad una comunicazione non specifica e che non consentiva alle organizzazioni sindacali di essere adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali”. Inoltre, i giudici di ultima istanza hanno confermato l’operato della Corte di Appello statuendo che “la tutela riconosciuta dal dipendente doveva essere quella dell’articolo 18 legge numero 300 del 1970 ratione temporis vigente”.
La Proma spa ha difeso la propria posizione sollevando anche la questione del rito scelto. Tuttavia, pur ammettendo la non perfetta linearità, la Cassazione ha comunque respinto l’eccezione perché in linea di principio “l’erronea applicazione delle regole del codice di rito non può pregiudicare o aggravare in modo non proporzionato l’accertamento del diritto, in quanto la pronuncia di merito è garanzia di effettività della tutela ex articolo 24 Costituzione”.
La sentenza appare molto importante e destinata ad incidere pure oltre il caso specifico di Pozzilli. Tra le altre cose, è stato sottolineato come “questa Corte ha precisato che, ove l’unità produttiva alla quale era stato adibito il lavoratore da reintegrare sia stata soppressa, la reintegrazione disposta dal giudice non può che essere genericamente riferita all’azienda del datore di lavoro, poiché l’individuazione della specifica sede alla quale assegnare il lavoratore, in alternativa a quella originaria, compete al datore di lavoro”.
Insomma, il lavoratore può essere reintegrato anche presso altre sedi produttive. Tutto ciò però non è avvenuto, con condanna dell’azienda.
Quindi, la Cassazione ha ritenuto “infondata nel merito alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte la censura intesa a contestare la necessità che la comunicazione di avvio della procedura di mobilità contenga anche le ragioni che escludevano la possibilità di ricollocazione degli addetti all’unità interessata presso altre sedi della società”.
Ancora: tra le altre cose, i giudici hanno statuito che “le documentazioni in merito agli accordi sindacali precedenti alla messa in mobilità non possono essere considerati come atto equipollente rispetto alla nota di avvio della procedura di mobilità, la quale di per sé avrebbe dovuto contenere, in modo chiaro ed esaustivo, le informazioni necessarie ai fini della comprensione delle ragioni per cui il licenziamento fosse limitato soltanto al personale dell’unità produttiva di Pozzilli”. Pertanto, “la comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento deve compiutamente adempiere l’obbligo di fornire le informazioni specificate dall’articolo 4 comma 3 della legge numero 223/91, in maniera tale da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero. La inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo articolo 4 determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura”.
Stando così le cose, “nel caso in esame, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che la mancata comparazione dei lavoratori di Pozzilli con quella dei lavoratori addetti ad altri stabilimenti, al fine di individuare chi dovesse essere licenziato in applicazione dei criteri di scelta di cui all’articolo 5 comma 1 della legge numero 223/91, assumeva rilievo in relazione ad una compiuta, trasparente e consapevole consultazione sindacale, tanto da compromettere il corretto svolgimento dell’esame congiunto”.