Una doccia gelata per i lavoratori dell’ex Unilever, per i sindacati e per la P2P, società che attendeva il responso sul progetto di riconversione dello stabilimento di Pozzilli. Un verdetto, quello arrivato ieri da Invitalia, che impone la rimodulazione del programma ricerca e sviluppo ma che di fatto boccia l’intero piano, come spiegato in una nota dall’azienda. «In data odierna (ieri, ndr) Invitalia ci ha comunicato che l’esperto esterno, nominato per la valutazione dei progetti di ricerca e sviluppo, ai sensi del comma bis, art. 9 del D.M. 9.12.2014, ha espresso parere negativo sul progetto proposto dalla scrivente società.
L’esperto nominato è la Prof.ssa Mariateresa Russo della Università Mediterranea degli Studi di Reggio Calabria, titolare della cattedra di Chimica degli Alimenti del Dipartimento di Agraria.
La valutazione, per quanto riferitoci, non disconosce la validità e la innovazione della proposta ma giudica negativamente – perché troppo grande – la dimensione dell’impianto sperimentale di selezione.
L’impianto è stato progettato per selezionare, con innovativi selettori ottici – con software di autoapprendimento (I.A.) – scarti della selezione degli imballaggi a fine vita, anche la frazione che ancora oggi viene smaltita in discarica o mediante incenerimento.
La dimensione dell’impianto, a seguito di un accordo tecnologico con le principali aziende europee, è stata definita con l’ausilio dei massimi esperti del settore, al fine di trattare diversi mix di materiali a velocità crescente (al fine di rendere efficiente la selezione) e separare i materiali plastici per il loro riutilizzo, anche per uso alimentare.
Attualmente non esiste alcun impianto similare in Europa che possa garantire, ove la sperimentazione abbia successo, una selezione (senza trattamenti termici o chimici) a costi ragionevoli e con una considerevole riduzione degli scarti, non riutilizzati, anche della frazione attualmente smaltita (c.d. Plasmix).
Dall’esito della istruttoria dell’esperto, Invitalia ha proposto, per le vie brevi, una rimodulazione del programma al fine di considerare quale produttivo l’investimento sperimentale proposto.
La scrivente società non potrà, in alcun modo, accettare tale richiesta sia per ragioni finanziarie (notevole riduzione del contributo a fondo perduto – circa 10 milioni) che per ragioni tecniche (non potendo in alcun modo trattare come investimento produttivo un impianto sperimentale che per sua natura non produce beni o ricavi fino alla prima applicazione industriale). Tra l’altro, per definire produttivo un investimento, occorrerebbe individuare un fornitore che possa garantire il risultato e quindi un ritorno economico.
E’ mortificante che sia giudicato non sperimentale un impianto che per la sua innovazione (e per fare innovazione occorre sperimentare) ha ricevuto attenzione da tutto il mondo.
E’ altrettanto mortificante che tale giudizio negativo non sia espresso da un esperto che abbia specifiche competenze nell’ambito applicativo, riferito alla attività proposta dal richiedente le agevolazioni, come previsto dalla nota del MiSE n.9062 del 01.02.2017.
La normativa europea, da cui trae origine ogni norma del settore, prevede espressamente che lo sviluppo sperimentale prevede: l’acquisizione, la combinazione, la strutturazione e l’utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica, commerciale e di altro tipo allo scopo di sviluppare prodotti, processi o servizi nuovi o migliorati, compresi prodotti, processi o servizi digitali, in qualsiasi ambito, tecnologia, industria o settore (applicabile anche a industrie e tecnologie digitali, quali il supercalcolo, le tecnologie quantistiche, le tecnologie a catena di blocchi (blockchain), l’intelligenza artificiale, la cibersicurezza, i big data e le tecnologie cloud o hedge). Rientrano in questa definizione anche altre attività destinate alla definizione concettuale, alla pianificazione e alla documentazione concernenti nuovi prodotti, processi o servizi. Rientrano nello sviluppo sperimentale la costruzione di prototipi, la dimostrazione, la realizzazione di prodotti pilota, la prova e la convalida di prodotti, processi o servizi nuovi o migliorati, effettuate in un ambiente che riproduce le condizioni operative reali laddove l’obiettivo primario è l’apporto di ulteriori miglioramenti tecnici a prodotti, processi e servizi che non sono sostanzialmente definitivi. Lo sviluppo sperimentale può quindi comprendere lo sviluppo di un prototipo o di un prodotto pilota utilizzabile per scopi commerciali che è necessariamente il prodotto commerciale finale e il cui costo di fabbricazione è troppo elevato per essere utilizzato soltanto a fini di dimostrazione e di convalida. Lo sviluppo sperimentale non comprende le modifiche di routine o le modifiche periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione e servizi esistenti e ad altre operazioni in corso, anche se tali modifiche possono rappresentare miglioramenti.
Si giudica troppo grande l’impianto pilota, senza comprendere che la dimensione dell’impianto sperimentale viene definita sulla base dei risultati da conseguire e della tecnologia applicata. Non può essere una semplice valutazione di opportunità o, come riferitoci in una precedente call, asserendo che un impianto pilota è normalmente su scala di laboratorio. Questo denota una profonda poca conoscenza del settore e delle tecnologie proposte. Tra l’altro vi sono diversi esempi, in Italia e in Europa, di progetti di sviluppo sperimentale di notevole dimensioni, anche 10 volte più grandi in termini economici. E ciò si rileva soprattutto nei settori della transizione ambientale e energetica, con notevoli investimenti dei paesi europei, stanziati per colmare l’enorme gap tecnologico con gli Stati Uniti e la Cina.
Noi ci ritiriamo da questa estenuante trattativa, che dura da ormai 4 mesi, malgrado, e questo è paradossale, abbiamo avuto una sola, e brevissima, occasione per interloquire con l’esperto nominato, a cui avremmo potuto spiegare la natura tecnica della proposta».
La P2p annuncia quindi «di ricorrere al Tribunale Amministrativo, al ricevimento del provvedimento di diniego, al fine di tutelare la azienda, i notevoli investimenti già effettuati e i lavoratori Unilever, che fino ad oggi hanno sostenuto, con grandi sacrifici, questa iniziativa.
Nel frattempo occorre però fare chiarezza: non è vero che il finanziamento rimarrebbe immutato in caso di classificazione quale produttivo dell’impianto sperimentale; non è una semplice rimodulazione ma uno stravolgimento dell’iniziativa, che non ha senso di esistere senza la parte sperimentale, che potrebbe determinare vantaggi economici e ambientali.
Appare paradossale che venga richiesto di eliminare l’investimento sperimentale in un momento storico di grandissima attenzione nel settore ambientale, per favorire l’economia circolare».