«Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre creazioni»: monsignor Camillo Cibotti ha ricordato il profeta Isaia per “leggere” i momenti difficili in Ucraina e dire un no alla guerra. Il presule nella sua omelia durante la funzione religiosa nella chiesa dell’Annunziata per le cerimonie per il 78° anniversario delle vittime civili del bombardamento di Venafro del 15 marzo 1944, ha voluto lasciare un messaggio forte a tutti i presenti e, in modo particolare ai giovani studenti dell’Istituto omnicomprensivo “Antonio Giordano” che hanno colorato la giornata con i colori dell’Ucraina e un corteo composto e molto significativo.
«Lavarsi- ha ricordato ancora il vescovo Cibotti- significa togliere da voi i punti dove vi siete arroccati e di fronte ai quali non vedete spiragli di apertura. Oggi uomini e adolescenti possono rendersene conto con la guerra tra Ucraina e Russia, bisogna ritrovare e render concreti i valori che oggi non sono ancora svaniti nel nulla. Siamo tutti uguali- ricorda ancora Cibotti- i soldati ucraini urlavano in strada: siamo anche noi russi, siamo uguali. I giovani oggi vedono immagini forti, perché la guerra è strage di esseri umani, esseri innocenti spesso. Qui un ruolo importante lo giocano anche i genitori, il loro esempio, far crescere nella giustizia e nel rispetto i propri figli. La consapevolezza parte proprio dalla testimonianza che sappiamo dare».
Toccanti le parole degli studenti del “Giordano” che hanno messo insieme il passato (i bombardamenti che colpirono Venafro durante il secondo conflitto mondiale) e il presente (le macerie dell’Ucraina, le macerie non solo materiali…) ricordando, tra l’altro, le 35 vittime civili del bombardamento del 15 marzo 1944.
Gli stessi studenti hanno chiuso con le parole di Papa Francesco per dire che “la guerra è una pazzia! Fermatevi!”. Al termine del corteo, la deposizione della corona al monumento ai Caduti in piazza Vittorio Veneto, con il discorso del sindaco Alfredo Ricci che subito ha voluto «ringraziare le ragazze e i ragazzi dell’Istituto “Giordano”, che con il loro corteo composto e le riflessioni che hanno voluto condividere con noi, hanno saputo dare quest’anno, in questo difficile momento internazionale, un significato più intenso a questa cerimonia».
Il primo cittadino ha ricordato gli ultimi due anni dove si è dovuti combattere il Covid-19 «una guerra che ci ha fatto tremare di paura, ci ha chiusi in casa, limitando diritti e libertà personali in maniera prima impensabile, ci ha privato di abbracci e affetti. Tutto questo è stato per un bene superiore, quello della comunità come sommatoria di singoli da tutelare e valore complessivo da salvaguardare. Ma quella guerra, da cui ormai ci accingiamo a venire fuori con la fine dello stato di emergenza, è stata combattuta con l’arma della solidarietà, quella del personale sanitario, dei rappresentanti istituzionali e delle forze dell’ordine, delle associazioni di protezione civile, del mondo del volontariato, dei tanti piccoli grandi gesti di chi non ha fatto mancare la sua vicinanza al parente, all’amico, al conoscente positivo».
Dopo il Covid-19 «all’improvviso ci siamo ritrovati in un presente che sa tanto di passato».
Il sindaco Ricci in questo paragone, poi, ha rimarcato «il contributo stupendo che le nostre ragazze e i nostri ragazzi dell’Istituto “Giordano”, in questa inedita presenza tangibile nella manifestazione ufficiale che abbiamo voluto fortemente come amministrazione, ci hanno voluto tracciare, approfondendo i fatti del 15 marzo 1944 e conducendo un filo conduttore che arriva fino a Mariupol, quella che è stata già ribattezzata la città martire dell’Ucraina».
Ritrovarsi catapultati all’indietro, e oggi, ha ancora ricordato il sindaco di Venafro «commemoriamo i caduti dei bombardamenti di Venafro, ma rivolgiamo il nostro pensiero anche ai nostri amici ucraini che stanno soffrendo e stanno morendo. Queste bandiere ucraine che sventolano in un legame di fratellanza accanto a quelle italiane ne sono il segno tangibile. Pensiamo a quei bambini che con le loro mamme hanno dovuto ancora una volta, come durante il Secondo Conflitto Mondiale, separarsi dai propri padri impegnati a combattere in uno scontro dell’uomo contro l’altro uomo che pensavamo di non dovere più vedere nella nostra Europa. Cosa possiamo fare? E possiamo riflettere, insieme ai nostri giovani, su come i valori di solidarietà umana, di libertà, di democrazia, che vinsero dopo fatti come quelli del 15 marzo 1944, siano ancora oggi, e forse oggi ancora di più, quelli a cui il nostro futuro deve inevitabilmente tendere, in una prospettiva di pace e fratellanza in cui, per usare un’espressione tante volte sentita due anni fa in piena pandemia, anche Ucraini e Russi torneranno ad abbracciarsi. È proprio vero, vi è un unico filo conduttore tra la Venafro del 15 marzo 1944 e la Mariupol del 2022. Un filo conduttore fatto di morte e distruzione; ma un filo conduttore fatto anche di amore, di solidarietà e di un futuro di pace a cui la comunità internazionale dovrà tendere».
Marco Fusco