Una vera e propria lectio magistralis del professor Giovanni Cerchia agli studenti di Venafro sul secondo conflitto mondiale che ha segnato la storia del mondo. Durante i lavori del seminario “La memoria della II Guerra Mondiale nel Sud d’Italia, che ha visto insieme il “Giordano” di Venafro, il Comune di Venafro e il laboratorio “Geo-Storia Unimol” il professor Cerchia ha parlato del territorio venafrano al centro della linea Gustav, flagellato da aspri combattimenti, in particolare sulla Bernhardt-Reinhard, ribattezzata dagli alleati Winterline.
Ma prima di passare alla cronaca del seminario, l’assessore all’istruzione del Comune di Venafro Antonella Cernera ha portato i saluti dell’amministrazione comunale e ha ricordato ai giovani studenti, citando la senatrice a vita Segre che «è importante ricordare, “la memoria rende liberi”. L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice».
A moderare i lavori del seminario le docenti di filosofia, storia e italiano del “Giordano” coordinate dalla professoressa Alessandra Del Caprio che ha guidato gli studenti nel dialogo con il professor Cerchia attraverso domande pertinenti che hanno arricchito di contenuti l’evento. E ora la relazione del professor Giovanni Cerchia: «Il conflitto che affrontiamo è uno dei più complessi e tragici eventi della storia, il cui bilancio di vittime è ancora oggi difficile da determinare con certezza. Nonostante siano passati decenni, gli strascichi di questa guerra segnano la nostra modernità e restano profondamente radicati nella memoria collettiva, affinché gli errori del passato non vengano ripetuti. Le radici di questo conflitto risalgono in parte agli eventi della Prima Guerra Mondiale, che aveva lasciato l’Europa devastata e divisa.
La Germania, che era stata indicata come quasi esclusiva responsabile della guerra, in realtà non può essere considerata l’unica colpevole: sarebbe più corretto parlare di corresponsabilità tra le diverse nazioni coinvolte. Questo periodo di instabilità politica ed economica fu ulteriormente aggravato dalla crisi del 1929, che distrusse le condizioni materiali della convivenza internazionale. La crisi generò milioni di disoccupati, interruzioni nelle reti commerciali e una generale caduta del sistema economico globale, creando il terreno fertile per il nascere dei totalitarismi. In Germania, Adolf Hitler riuscì ad approfittare della situazione, salendo al potere grazie a una miscela di propaganda e promesse di rinascita. Lo stesso accadde in Italia, dove Benito Mussolini trovò il sostegno per instaurare un regime fascista che, pur non essendo totalitario quanto quello tedesco, cominciava a stringere la sua morsa sulla società.
Seppur in un contesto molto diverso, la dittatura fascista italiana non tardò a evolversi in un regime autoritario, dove la violenza politica era costante, ma non raggiunse mai la brutalità sistematica del nazismo.
Mussolini, pur tra mille difficoltà, riuscì a far superare all’Italia la crisi economica grazie a una serie di misure autoritarie e interventiste, ma questo non fu sufficiente a evitare il coinvolgimento del paese nelle guerre successive.
Negli anni ‘30, l’Italia si trovò a dover fare i conti con l’ambizione di espandere il proprio impero coloniale, prima in Etiopia, con l’aggressione e i crimini di guerra che ne seguirono, e poi nella guerra civile spagnola, dove sostenne il regime franchista. Il 1939 segnò il punto di non ritorno: l’Italia firmò l’alleanza con la Germania, creando l’asse Roma-Berlino, un accordo di reciproca difesa che segnerà l’inizio di un conflitto mondiale che avrebbe travolto tutto il pianeta. Nonostante l’alleanza tra i due regimi, i rapporti tra Hitler e Mussolini non furono mai idilliaci. Le divergenze tra i due leader erano evidenti, in particolare per la gestione della guerra e delle sue risorse.
Sebbene la Germania fosse la grande potenza militare, Mussolini cercò di limitare il proprio coinvolgimento, evitando di entrare nel conflitto con la stessa intensità dei tedeschi. La guerra in Etiopia, purtroppo, aveva drenato gran parte delle risorse italiane, rendendo difficile un impegno costante nella guerra che stava per scoppiare in Europa. La scelta italiana di entrare nel conflitto mondiale fu dovuta anche alla percezione che la guerra stesse ormai per giungere alla fine, con la Germania che sembrava invincibile. Quando Hitler invase la Polonia nel 1939, l’Italia non intervenne direttamente, ma il paese fu ormai parte integrante di un conflitto che stava per sconvolgere l’Europa. Nonostante le iniziali reticenze, la convinzione che la guerra fosse ormai inevitabile, spinta dalla propaganda e dalla paura di rimanere isolati, portò Mussolini a dichiarare guerra alla Gran Bretagna e alla Francia nel 1940. Tuttavia, nonostante i primi successi italiani in Africa e in altre zone, l’andamento del conflitto si fece presto chiaro: la Germania non sarebbe stata in grado di vincere facilmente, e le risorse limitate dell’Italia cominciarono a rivelarsi un problema insormontabile.
Nel 1941, la guerra prese una piega ancor più tragica per l’Italia. Hitler fallì nel suo intento di sconfiggere rapidamente la Gran Bretagna, e la campagna in Africa settentrionale e nei Balcani si rivelò più complessa e difficile del previsto. Gli italiani, nonostante l’alleanza con la Germania, si trovarono a fronteggiare gravi difficoltà. Nel 1942, con l’Italia impegnata in una guerra che non riusciva a vincere, la situazione divenne sempre più difficile.
Nel contempo, gli alleati, guidati dagli angloamericani, cominciarono a pianificare l’invasione dell’Italia, e i primi attacchi aerei e sbarchi in Sicilia nel 1943 segnarono l’inizio della fine per il regime fascista. L’8 settembre del 1943, l’Italia si trovò in un momento cruciale della sua storia: il re Vittorio Emanuele III fuggì, e l’esercito italiano fu completamente sconfitto, mentre centinaia di migliaia di soldati italiani furono arrestati o deportati dai tedeschi. L’Italia si trovò divisa tra il sud, ormai sotto il controllo degli alleati, e il nord, che rimase sotto l’occupazione tedesca.
Il paese fu lacerato in due, e la guerra civile iniziò a consumare ulteriormente le sue forze. Durante questo periodo, la resistenza partigiana si fece sempre più forte, con la popolazione civile che si univa agli alleati e combattendo contro i nazisti e i fascisti. Il sud dell’Italia fu liberato progressivamente, ma il nord rimase sotto il controllo tedesco fino alla fine del conflitto. La Linea Gustav, una serie di fortificazioni difensive costruite dai nazisti, riuscì a resistere a lungo agli attacchi alleati, ma alla fine la resistenza tedesca cedette.
A partire dal 1944, le grandi città del nord, come Milano e Torino, iniziarono a sollevarsi contro l’occupazione nazista, e la liberazione dell’Italia si concretizzò nel 1945 con l’insurrezione delle forze partigiane. Il 25 aprile del 1945, l’Italia festeggiò la sua liberazione, mentre il 3 maggio dello stesso anno la fine della guerra in Italia segnò anche la fine del conflitto in Europa. Tuttavia, il secondo conflitto mondiale non terminò prima che il Giappone fosse sconfitto attraverso l’uso delle bombe atomiche sugli imperi giapponesi, in agosto.
Questa guerra ha molti volti e tanti volti sono rimasti nella memoria collettiva. La ricordiamo per i suoi orrori, per gli stermini nei campi di concentramento, per le sofferenze dei popoli coinvolti. Nonostante l’Italia abbia subito meno perdite umane rispetto alla Prima Guerra Mondiale, con circa 540.000 morti, la tragedia fu comunque enorme. Le potenze sconfitte – Germania e Giappone – furono profondamente colpite: il Giappone dovette adottare una nuova costituzione, mentre la Germania venne divisa e occupata. L’Italia, pur perdendo territori come la Dalmazia e l’Istria, non fu divisa come le altre potenze sconfitte, e fu risparmiata da una punizione troppo severa. Anzi, entrò a far parte dell’Onu subito dopo la fine della guerra, grazie all’impegno di coloro che si opposero al fascismo e al nazismo, e al sacrificio di tanti italiani che lottarono per la libertà».

Marco Fusco

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