I familiari di Celestino Valentino, l’anziano ucciso con una sostanza caustica mentre era ricoverato nell’ospedale di Venafro, hanno scritto una lettera aperta. Una lettera con la quale chiedono giustizia. Ecco il testo integrale:

«Il 22 giugno scorso Celestino Valentino, di 77 anni di età, si trovava ricoverato presso il reparto di Lungodegenza dell’Ospedale “SS. Rosario” di Venafro (IS).
Nei mesi precedenti aveva subito un’ischemia cerebrale, che lo aveva costretto a letto e lo aveva privato della facoltà di parlare.
Nel primo pomeriggio di quel 22 giugno Rosa, la figlia del sig. Valentino, infermiera in servizio presso lo stesso nosocomio, prima di rientrare a casa dopo terminato il proprio turno lavorativo, passava dal padre per salutarlo e accertarsi delle sue condizioni.
Nessuno poteva immaginare che proprio in quel luogo, di cura e assistenza sanitaria, oltre tutto una struttura pubblica, Celestino poteva correre pericoli.
Sennonché, nel breve lasso di tempo in cui ognuno era a casa a pranzo, accadeva un fatto di una gravità raccapricciante prima ancora che inaudita.
Celestino – che, a causa dell’ischemia che lo aveva colpito, era immobilizzato nel proprio letto e impossibilitato a parlare – subiva una barbara e crudele aggressione da parte di una persona che entrava liberamente in reparto (nonostante a quell’ora non fossero ammesse visite esterne), si recava nella sua camera e gli somministrava violentemente attraverso la bocca della sostanza caustica, per poi darsi alla fuga.
È intuibile la scena di Celestino costretto dalle proprie condizioni di salute a rimanere immobilizzato nel letto, senza potere neanche urlare, chiedere aiuto o lamentarsi, con la sostanza caustica violentemente somministratagli attraverso la bocca che si diffondeva negli organi interni, corrodendoli.
Al momento non sappiamo con certezza quanto tempo dopo il personale in servizio nel reparto effettivamente si sia accorto della situazione e abbia soccorso Celestino.
Sappiamo soltanto che verso le 16:45 Vincenzina, recatasi in ospedale per assistere il marito, trovava la porta della sua camera chiusa, e così veniva a conoscenza dell’accaduto.
Rosa, sopraggiunta anche lei d’urgenza al capezzale del papà, riscontrava subito nel papà ustioni diffuse sia all’esterno sia all’interno della bocca.
Celestino veniva trasportato d’urgenza all’ospedale di Isernia, dove, dopo giorni di agonia e sofferenze atroci, decedeva il successivo 30 giugno.
Nel frattempo, erano iniziate le indagini, nell’ambito delle quali, come appreso in seguito, veniva individuata un’unica indagata.
Si trattava di una dipendente dello stesso Ospedale “SS. Rosario”, che, secondo quanto riportato riferito dagli organi di informazione, avrebbe aggredito Celestino per evitare il proprio trasferimento all’ospedale di Isernia.
Infatti, secondo la ricostruzione giornalistica, l’indagata avrebbe temuto che Rosa, usufruendo dei benefici previsti dalla legge n. 104/1992 per la malattia di Celestino, riuscisse a conservare il posto all’ospedale di Venafro, in via di riorganizzazione, a discapito proprio dell’indagata.
2
Quindi, secondo la stampa locale e nazionale interessatasi al caso, l’indagata avrebbe ritenuto di potere conservare il proprio posto facendo venire meno in capo a Rosa il regime della legge n. 104/1992, e a tal fine avrebbe aggredito Celestino.
Da allora sono trascorsi oltre 8 mesi.
In questo lungo periodo di tempo abbiamo percepito il lavoro investigativo approfondito e accorato svolto dai Carabinieri del NOR di Venafro, coordinati dalla Procura della Repubblica di Isernia.
Sembra che tutti abbiano preso a cuore questa drammatica vicenda: un uomo anziano, malato, impossibilitato a muoversi, a difendersi, anche soltanto a chiedere aiuto, è stato assassinato mentre si trovava ricoverato in un ospedale pubblico per curarsi.
E l’unica indagata è stata fin dall’inizio una dipendente ospedaliera, che avrebbe aggredito Celestino con la sostanza caustica nell’assurda convinzione di fare di tutto pur di conservare il proprio posto di lavoro.
Eppure a distanza di oltre 8 mesi, ancora non vi sono stati accadimenti processuali concreti.
In questi mesi, pur essendo formalmente assente dal lavoro per motivi vari, l’indagata è stata costantemente presente in ospedale, assumendo sovente strani atteggiamenti nei confronti di Rosa, irrispettosa e quasi dileggiante nei confronti del suo dolore.
Frequentando lo stesso Ospedale “SS. Rosario”, l’indagata ha avuto in ogni momento la possibilità di fare del male ad altri ricoverati.
Come se non bastasse, da alcune settimane l’indagata ha anche regolarmente ripreso a lavorare, come se nulla fosse: sta frequentando di nuovo, quotidianamente, gli stessi ambienti in cui avrebbe commesso i fatti per cui è indagata.
Nei mesi scorsi, abbiamo scelto di non parlare e di non commentare, neanche quando sentivamo sciocchezze che ci turbavano; abbiamo scelto di attendere fiduciosi che la Giustizia facesse il suo corso, per rispetto verso il lavoro appassionato dei Carabinieri.
Ora, però, è stato raggiunto e superato il limite di umana sopportazione!
Tutti noi familiari siamo sfiancati da questa vicenda; Rosa si ritrova nell’assurda situazione di condividere tutti i giorni il luogo di lavoro con la persona indagata per l’omicidio del padre.
Fino a quando potrà continuare a consentirsi che una persona, indagata per avere ucciso un anziano malato indifeso mentre era ricoverato in ospedale, resti in libertà?
Fino a quando potrà continuare a consentirsi che questa persona lavori indisturbata nello stesso ospedale in cui avrebbe commesso i fatti per cui è indagata, oltre tutto con il rischio di altre reazioni imprevedibili non appena dovesse percepire il pericolo (anche solo ipotetico) di essere trasferita in altro luogo di lavoro (la riorganizzazione dell’Ospedale di Venafro è tuttora in atto) o per altri futili e infondati motivi?
Fino a quando potrà continuare a consentirsi che questa persona, indagata per l’omicidio di Celestino, sia a continuo contatto con Rosa, cioè con la persona per colpire la quale, come riferito dalla stampa, avrebbe ucciso il papà?
Vediamo il caso D’Elisa, verificatosi nelle scorse settimane a Vasto, come lontano da noi e dal nostro modo di sentire e vivere: vogliamo Giustizia, e non vendetta.
Ma è analoga l’esasperazione a cui ci sta conducendo un meccanismo, quello della “Macchina Giudiziaria”, assurdo e farraginoso perfino rispetto a fatti inauditi e orrendi, come quelli di cui Celestino è stato vittima.
Per questo chiediamo che si faccia presto, si faccia bene, si faccia fino in fondo.
Su quel letto poteva esserci il marito, il papà, il nonno di chiunque!»

Venafro, marzo 2017.
La moglie di Celestino, f.to Vincenzina Pisaturo
La figlia di Celestino, f.to Anna Maria Valentino
La figlia di Celestino, f.to Rosa Valentino

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.