Immigrato nigeriano “salvato” dal Comune di Venafro. Proprio così. Almeno fino a quando il tribunale di Salerno (competente per l’occasione), in diversa composizione, prenderà una decisione diversa. Avverso il provvedimento di diniego in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale si era infatti opposto l’extracomunitario africano allegando alla documentazione inviata alla Cassazione pure il contratto di tirocinio con Palazzo Cimorelli.
«La grave situazione interna della Nigeria – si legge nell’ordinanza della Suprema Corte – imponeva di reputare la sussistenza di seri motivi di carattere umanitario evidenzianti la situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente, il quale, costretto a rientrare in Nigeria, correrebbe il concreto rischio di vedere svanire l’integrazione raggiunta in Italia, testimoniata dalla relazione del pastore Giancarlo Mazzuferi, dall’attestato di frequenza scolastica, dalla dichiarazione del coro gospel, nel quale il ricorrente canta e dal contratto di tirocinio con il Comune di Venafro».
La Cassazione ha pertanto ritenuto di ribadire come «il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’articolo 5, comma 6, del d. lgs. numero 286 del 1998, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza».
Dunque, «una tale comparazione, che deve essere effettiva (sia nel senso che l’integrazione raggiunta in Italia deve essere posta a confronto con la situazione del Paese di provenienza, sia nell’opposto senso che quest’ultima deve essere posta a confronto con il concreto e reale livello d’inserimento in Italia), nel caso di specie, tenuto conto della documentazione specificata dal ricorrente, in ordine alla quale la decisione nulla dice, non potendosi assimilare a compiuta motivazione l’anodino asserto “l’istante ha dedotto di stare lavorando”, una tale comparazione non risulta essere stata effettuata, di talchè il Giudice si è impropriamente trincerato in un inammissiibl e non liquet a riguardo del pedetto giudizio di bilanciamento, nel quale deve tener conto, anche se non quale fattore esclusivo, del radicamento nel territorio nazionale».
I giudici di ultimo grado, «fermo restando, tuttavia, che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui all’articolo 5, comma 6, del d. lgs. numero 286 del 1998, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’articolo 8 Cedu, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale».
Considerato, pertanto, che – come stabilito con l’ordinanza della Cassazione – «il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio in relazione al principio di diritto sopra enunciato e che appare opportuno rimettere al Giudice del rinvio il regolamento delle spese del presente giudizio».
Insomma, stando così le cose, i giudici del tribunale di Salerno dovranno riesaminare il caso alla luce dell’ordinanza della Cassazione, adita dall’extracomunitario nigeriano contro la decisione della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
L’immigrato aveva pure evidenziato ai giudici la situazione di «diffusa violenza nel quale versa la Nigeria, percorsa da bande armate terroristiche, priva di un sistema repressivo e giudiziario democratico, caratterizzata da esecuzioni extragiudiziali, tortura, sequestri e sparizioni di persone».
In particolare, l’uomo era finito nel mirino dei membri di una setta, che in un primo momento lo avevano perseguitato, ma che da tempo non si interessavano più di lui. Nonostante ciò, considerato evidentemente il grado di integrazione raggiunto ormai in Italia la Cassazione ha stabilito il riesame del caso, con nuovo vaglio dell’istanza di riconoscimento di protezione internazionale.