Nessuna premeditazione e una condanna a 15 anni e quattro mesi di reclusione per i reati di omicidio volontario, rissa, lesioni personali e detenzione di coltello. È la sentenza emessa ieri dalla Corte d’Assise nei confronti di Gianni De Vivo, il 39enne che la sera della Vigilia di Natale del 2021ferì a morte, con un fendente alla gola, Cristiano Micatrotta, al culmine di una lite scoppiata in via Vico per motivi di droga. Si chiude così, dopo circa 9 mesi di dibattimento, il primo grado di giudizio sulla vicenda di cronaca che ha scosso profondamente la comunità campobassana.

C’era attesa per il pronunciamento dei giudici e il clima era teso già dalle prime ore del mattino quando, di fronte al tribunale di Via Elena, è comparso uno striscione con la scritta “Giustizia per Cristiano”.

L’udienza si è aperta con le repliche degli avvocati di parte civile e della difesa. I primi hanno richiesto nuovamente l’aggravante della premeditazione, i legali di De Vivo hanno invece sostenuto l’eccesso di legittima difesa. In aula, come sempre, l’imputato e i familiari della vittima.

Dopo una camera di Consiglio durata quasi quattro ore, il verdetto della Corte presieduta dal giudice Salvatore Casiello: non ci fu premeditazione. L’aggravante, del resto, era stata esclusa anche dalla pubblica accusa che, al termine della requisitoria, aveva chiesto 21 anni e tre mesi per omicidio volontario.

Durante la lettura del dispositivo, però, non sono mancati momenti di tensione: alcuni familiari hanno inveito contro la Corte e sono stati invitati ad abbandonare l’aula. «È uno schifo» lo sfogo dopo aver appreso l’entità della condanna che è stata ridotta di un terzo. Venuta meno l’aggravante della premeditazione, infatti, De Vivo ha potuto beneficiare del rito abbreviato che prevede, appunto, lo sconto della pena.

Tra 90 giorni saranno depositate le motivazioni, ma la vicenda sembra tutt’altro che conclusa. Gli avvocati difensori hanno infatti già annunciato la strada del ricorso.

Soddisfatti, per il momento, gli avvocati di parte civile: «Sarebbero 23 anni di reclusione che, a seguito della decisione del pm di rinunciare alla premeditazione, ha comportato automaticamente la riduzione di un terzo della pena», ha commentato a margine dell’udienza l’avvocato Fa-

bio Albino. «Una sentenza che, considerando l’esclusione della aggravante e calcolando come pena base 23 anni, tutto sommato accogliamo positivamente. Ma io ci tengo a sottolineare che non è la pena che deve soddisfarci, perché il nostro è uno stato di diritto, non uno stato vendicativo. Ci soddisfa piuttosto che con questa sentenza i giudici della Corte D’assise hanno stabilito, una volta per tutte chi ha commesso l’omicidio, come lo ha commesso e per quali ragioni, giungendo poi a questa decisione finale».

Sul ricorso l’avvocato è cauto: «Parlare di Appello in questo momento sarebbe un errore di principio. Nel momento in cui verranno depositate le motivazioni se sarà ben spiegata l’assenza della premeditazione, sulla quale noi abbiamo sempre insistito, non proporremo Appello. Se invece,

al contrario, saranno presenti lacune in tal senso, allora valuteremo questa possibilità».

«Le sentenze non lasciano né soddisfatti né portano a nessun’esaltazione – ha evidenziato l’altro avvocate di parte civile, Roberto D’Aloisio – il risultato è che 23 anni di reclusione sono una pena congrua e la riduzione è avvenuta per un meccanismo automatico previsto dal codice. Quindi siamo soddisfatti perché non sono state concesse le attenuanti generiche e oltre questa condanna non si poteva andare. Del resto contestare la premeditazione oggi è diventato sempre molto più difficile, molto spesso non si verifica neppure per i reati di mafia, sarebbe stato troppo pretenderlo in un processo del genere. Noi lo abbiamo fatto per un eccesso di scrupolo. Dunque possiamo dire

che nel complesso siamo soddisfatti, oltre non potevamo ottenere».

 

Parla invece di «una sentenza dolce amara», l’avvocato difensore Mariano Prencipe.

«Caduta l’aggravante, che noi contestavamo sin dall’udienza preliminare, e dunque esclusa la possibilità dell’ergastolo e pene abnormi per un processo di questo tipo, registriamo una condanna che tutto sommato si attesta nella media nazionale. Siamo di fronte all’epilogo del primo tempo di questa partite io sono convinto che spesso e volentieri la strada della verità è tortuosa e piena di insidie. Forte di questa convinzione penso che rimangono aperti tutti gli argomenti, primo su tutti quello della legittima difesa». Il legale annuncia dunque che la battaglia proseguirà anche in Appello e, in conclusione, stigmatizza quanto avvenuto in aula durante la lettura del dispositivo. «L’attacco fatto alla Corte da parte di alcuni presenti che si sono lamentati di una pena, a loro

dire, troppo bassa, è una cosa che non dovrebbe avvenite in un paese civile. I giudici fanno il loro lavoro come gli avvocati, il processo garantisce tutte le parti, dunque mi sembrano delle reazioni fuori luogo». md

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