Si trova rinchiuso nel carcere di Larino dalla mattina di lunedì il 69enne Pietro Raffaele Valente, l’imprenditore arrestato per mano del Ros de ‘L’Aquila’ e del Noe diretti dal celeberrimo colonnello ‘Ultimo’ (l’ufficiale che arrestò Totò Riina a Palermo).

Indagato da due anni come prestanome di Massimiliano Ciancimino, figlio del boss ed ex sindaco del capoluogo siciliano Vito, che ebbe un soggiorno obbligato nella vicina Rotello, Valente secondo la Procura di Roma era il titolare di quote significative della società romena in cui venne investito quasi interamente il tesoro della famiglia Ciancimino, che ammontava a 115 milioni di euro.

Un investimento operato in Romania, finanziato da attività illecite. Una diversificazione di business in traffico di rifiuti all’Est, che però si è rivelata il tallone d’Achille della strategia con cui si cercavano di riciclare i proventi della mafia. Le indagini sul versante dell’ecomafia erano partite addirittura nel 2007, quando don Vito era ancora vivo, approfondite per mano del gip Piergiorgio Morosini due anni fa, quando anche l’abitazione di Valente venne perquisita dalla polizia giudiziaria.

All’opera il Procuratore capo Giuseppe Pignatone e i Pm Delia Cardia e Antonietta Picardi, che vollero far luce sugli affari scaturiti dalla gestione della discarica di Giina, nei sobborghi di Bucarest, considerata il più grande sversatoio d’Europa di rifiuti. A inchiodare Valente l’attività investigativa del Ros, con intercettazioni, pedinamenti e appostamenti, che hanno ricondotto il filo fino al mazziere, appunto Ciancimino. Indiscrezioni rivelerebbero come la difesa sarebbe stata affidata allo studio Bongiorno, ma localmente a prendere visione degli atti è stato l’avvocato termolese Joe Mileti. Insieme a Valente, che risiede in centro, sono finiti agli arresti anche altri tre imprenditori: Romano Tronci, Sergio Pileri e Victor Dombrovschi. La procura distrettuale antimafia della capitale nell’ordinanza ha formalizzato l’accusa di aver tentato di riciclare capitali di provenienza illecita attraverso la Ecorec.
I 4 destinatari dell’ordinanza cautelare (nel complesso erano nove gli indagati) secondo l’accusa stavano provvedendo a cedere la società romena per 60 milioni di euro, meno dei due terzi del suo effettivo valore. Una scelta che sarebbe servita per evitare l’entrata a gambatesa della magistratura, con l’autorità italiana pronta a confiscare il patrimonio e le quote della società. Il tesoro dei Ciancimino ha preso la via di Bucarest da almeno dieci anni. Prima degli arresti c’era stato il sequestro preventivo della Ecorec, sempre disposto dal Gip di Roma ed eseguito nell’agosto 2013, attraverso una rogatoria con cui hanno fatto agire le autorità romene.

Ciononostante gli indagati stavano cercando di approfittare delle incongruenze tra i due ordinamenti giuridici, fino a far dichiarare la società insolvente dal tribunale di Ilfov, per aggirare il sequestro disposto dal gip capitolino.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*