“Non ci credo. Non è possibile”. Italo Di Sabato piange senza ritegno. Come un bambino che ha perso un fratello. Comunista, capatosta, consigliere regionale di Rifondazione comunista, animatore nel fronte antagonista. Un duro. Eppure singhiozza al telefono. “Forse perché io sono fortunato, non ho avuto nella vita lutti importanti finora. Ho tutti i miei familiari. Questa perdita la sento assurda, sarà incolmabile”. 
Fa una pausa per riprendersi. Dall’altra parte del filo un respiro corto, mozzato dal peso sul cuore e sul petto che dall’una e mezza di domenica notte inchioda l’animo di Italo Di Sabato. Era appena stato rieletto segretario del partito in Molise, dopo gli anni di lavoro in Basilicata. Lo ha chiamato Marco Petti. Insieme, inquieti e inebetiti da una notizia che non hanno ancora realizzato come vera, sono corsi nella casa di campagna di Piero Ioffredi. “Io non l’ho neanche ancora visto il corpo di Piero”. C’erano già i soccorritori, poi i carabinieri. Piero, Polpetta, se l’è portato via il furgone della mortuaria. 
“Un paio di settimane fa ci eravamo visti per strada, era un lunedì mattina. Come sempre chiacchierare per noi due era rigenerante”, ricorda. Sul filo della memoria Italo Di Sabato riannoda gli anni ’80, il gioco dell’impegno politico e poi la testa a posto. “Era adolescente quando ci siamo incontrati per la prima volta. Fu amicizia da subito e anche sodalizio politico. Io militavo in Democrazia proletaria, lui nella Fgci. Le occupazioni, il centro sociale, i collettivi, i campeggi antagonisti: in ogni cosa c’era questo suo entusiasmo incontenibile. Me lo regalò quando mi candidai per la prima volta alla Regione e lo hanno potuto apprezzare tutti quando in campo è sceso lui tre anni fa…”. Prende fiato. Rivede il sole, risente il caldo di Cuba sulla pelle. “Per noi era il paradiso terrestre quell’isola. Ci andammo insieme nel 1992, rimanemmo lì un mese con poche centinaia di migliaia di lire. Eravamo diventati due cubani”. Sprazzi di risate, il cuore gli si allarga per l’Inter. Passione assoluta vissuta in due. “Abbiamo girato tutta l’Europa con la nostra squadra. Era il nostro staccare la spina. E non c’era festa comandata che non si stesse insieme, o che non ci sentissimo”. Poi, a tradimento, una botta di malinconia. La realtà che ritorna prepotente come un macigno. Quel peso sul cuore e sul petto che l’opprime da domenica notte. “È dura. È troppo difficile… Eravamo fratelli. Sono senza parole. Io non l’ho neanche visto, so solo che Piero non c’è più”.

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