La pioggia rende il cielo plumbeo ed immalinconisce.
Alle 15,40 il feretro transita a Porta Napoli, davanti al pub dove Piero ha spillato ettolitri di birra e dispensato migliaia di sorrisi.
Ad attendere Polpetta nel suo ultimo viaggio moltissime persone, giovani e meno giovani, che salutano il passaggio del corteo a Porta Napoli con un lungo e commovente applauso.
Qualcuno accende dei fumogeni, creando una clima nebbioso e surreale, tra lo sgomento degli automobilisti in transito.
Sotto l’insegna ‘‘‘‘Incontreria – Birroteca’ sono innumerevoli i manifesti che annunciano la tragica scomparsa di Polpetta: la famiglia Falcione, i tifosi del Campobasso, gli atleti del basket e del calcio femminile, e poi gli amici che hanno popolato quel locale di Porta Napoli sia quando c’era la neve sui tetti, sia quando d’estate era gradevole sorseggiare una guinness anche a mezzemaniche. Tantissimi anche gli amori nati da Pulp quando la luna si stagliava dalla sagoma del Castello Monforte.
Poi via, il lungo corteo si trascina verso Sant’Antonio di Padova, per l’estrema cerimonia.
Sul sacrato della chiesa il drappo degli Smoked, quel drappo che Piero ha esposto con orgoglio negli stadi d’Italia. Sulla bara la maglia dell’Inter e la sciarpa rossoblù, le sue due grandi passioni.
Ad accogliere la folla in chiesa c’è padre Franco D’Onofrio, forse l’unico, per una sorta di comune sentire, a poter celebrare la funzione mentre il maestro Messore, cugino di Piero, dall’organo intona uno straziante Requiem:
“Piero per me è stato un amico fraterno – spiega nella sua omelia il sacerdote – e mi piace ricordarlo col termine greco Macarion, che erroneamente traduciamo con la parola beato ma che in realtà vuol dire folle e felice”.
Perché questo era Polpetta, folle e felice, felice d’una esistenza folle condotta sempre al limite.
In chiesa ci sono gli amici d’infanzia ed i giovani che hanno popolato le notti da Pulp. Ci sono politici spazzati via dal tempo e nuovi amministratori coi quali Piero aveva tentato appena tre anni fa la scalata a Palazzo San Giorgio.
Si scorgono tra la folla il questore di Campobasso Gian Carlo Pozzo, Massimo Romano, Carmelo Parpiglia, Augusto Massa, Gasperino Di Lisa, Fernando Di Laura Frattura (che è anche il suocero del fratello di Piero), l’ex sindaco e l’attuale primo cittadino di San Giovanni in Galdo, paese di cui è originaria la famiglia Ioffredi.
In prima fila proprio la famiglia di Piero, con la moglie Anna e le due bimbe distrutte dal dolore ed i tre fratelli – Titti, Nico e Alessandro – raccolti in un dignitoso silenzio.
Poi la madre Margherita, personaggio esile, taciturno e discreto, ed il padre Pasquale che ha caratterizzato tempo addietro la vita politica regionale durante la Prima Repubblica.
La moglie e la sorella cedono sotto il peso dell’emozione ed abbandonano la funzione.
E’ Nico, a margine della funzione religiosa, a salutare per l’ultima volta Piero: “Esisteva Polpetta, personaggio guascone amato da tutti. Ed esisteva Piero, con le sue debolezze, morto nella sua solitudine”.
E forse per la prima volta i due mondi si incontrano in quella chiesa.
E rivolgendosi direttamente a Dio Nico prosegue: “Ti do un consiglio – spiega con la voce rotta dal pianto – Chiudi un occhio e portalo con te. Te lo consiglio vivamente”.
Poi un lunghissimo applauso accompagna la bara portata a spalla da Italo Di Sabato, Marco Petti e da tutti quegli ex ragazzi, ormai uomini, che con Piero hanno condiviso gioie e dolori.
Tutti scuotono la testa sussurrando: “Non doveva finire così”. NdS