La Procura della Repubblica di Napoli ha confermato ieri l’esistenza di stretti legami tra il gruppo imprenditoriale facente capo alla famiglia Ragosta – operante in diversi settori economici (dal commercio di metalli, all’alberghiero, dall’immobiliare al settore alimentare) – e il clan camorristico Fabbrocino. In sostanza, la camorra finanziava il gruppo e gli garantiva protezione. La Guadia di Finanza partenopea, a seguito dell’operazione denominata “Bad iron” (ferro cattivo), ha dato quindi esecuzione all’ordinanza cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Napoli, nei confronti di 10 indagati per reati che vanno dal concorso esterno in associazione camorristica e reimpiego/riciclaggio di illeciti proventi sino alla bancarotta fraudolenta.
Si tratta di un ulteriore sviluppo del procedimento penale che lo scorso 19 marzo aveva portato a svariate misure cautelari personali e al sequestro preventivo di beni per oltre un miliardo di euro. In particolare, attraverso nuove investigazioni compiute mediante intercettazioni telefoniche, intercettazioni ambientali, perquisizioni ed audizioni di persone informate sui fatti, è stato possibile acquisire ulteriori elementi probatori in ordine ad altre ipotesi di reato: concorso esterno in associazione camorristica (clan Fabbrocino), reimpiego di proventi illeciti e fittizia intestazione di beni con l’aggravante a carico di Fedele, Giovanni e Francesco Ragosta.
Le nuove indagini hanno quindi consentito di appurare che l’intero clan Fabbrocino (il quale finanziava i Ragosta) condizionava gli operatori economici della provincia napoletana al fine di garantire al Ragosta un vero e proprio monopolio nel settore dell’approvvigionamento e del commercio dei metalli. Tra le vicende più significative ricostruite dalle indagini – sempre secondo le Fiamme Gialle – particolare importanza assume quella dell’acquisizione all’asta del famoso Hotel Raito da parte di Fedele Ragosta, avvenuta mediante atti di violenza e minaccia, di tipica matrice camorristica, posti in essere al fine di dissuadere potenziali concorrenti dal partecipare all’asta, che alla fine (dopo tre incanti andati deserti) si è conclusa con l’aggiudicazione dell’immobile all’indagato Ragosta Fedele ad un prezzo sensibilmente inferiore a quello inizialmente posto a base dell’incanto (ossia a 6 milioni di euro, rispetto ai circa 9 milioni iniziali). Quindi, nell’ordinanza del Gip partenopeo sono altresì contestate condotte di bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito connesse al fallimento di una delle società facenti capo all’indagato Francesco Ragosta, ovvero la Rer di Pozzilli. “In relazione a tale vicenda – si legge nella nota della Guardia di Finanza – sono state quindi disposte misure restrittive della libertà personale, oltre che nei confronti dello stesso Francesco Ragosta, anche nei confronti della moglie e di altri 5 responsabili, tra i quali i componenti del collegio sindacale della società fallita. In relazione a tale fallimento venivano accertate una serie di distrazioni patrimoniali che facevano lievitare il passivo fino ad un ammontare di oltre 38 milioni di euro”.