S’è fatta qualche “stizzosa polemica” nell’ordinanza per chiedere il carcere nei confronti di Tonino Perna. Polemiche più che ragioni sostanziali: lo dice la Cassazione che ha inviato le motivazioni al rigetto della richiesta di arresto avanzata dalla procura di Isernia. Non c’erano le basi secondo la Suprema Corte per la richiesta d’arresto. “L’ordinanza impugnata è oggettivamente venata da qualche stizzosa polemica, circostanza che ha fatto velo ad un sereno giudizio sul quadro processuale” si legge nelle motivazioni che hanno fatto seguito al ‘‘no’ alla seconda richiesta di carcere, quella giunta dopo che la procura di Isernia aveva impugnato la decisione del riesame. Per i giudici di Campobasso Perna doveva essere scarcerato, mentre Isernia era di avviso opposto. Infine la Cassazione ha gelato la procura pentra. Per la Suprema Corte, la detenzione in carcere è un’eccezione: “Nel caso di specie, poi, si osserva che il pregiudizio complessivo della condotta dell’imprenditore Perna risulta inversamente proporzionale alla pluralità degli atti censurati” si legge ancora nelle motivazioni. In altre parole, la ricchezza di Perna non finiva nelle tasche dell’imprenditore, secondo i giudici della Cassazione: “La gran parte della ricchezza apparentemente manomessa,è – comunque – rifluita nell’asse del gruppo (è probabile che tutte le manovre attengano ad una spregiudicata politica di bilancio al fine di sovvenire a quei comparti finanziariamente più compromessi)”. Per l’esistenza delle misure cautelari ci sarebbe stato ben poco. I giudici romani spiegano nelle loro motivazioni perché non la misura cautelare non può essere accordata: “E’ certamente assente – alla luce dei parametri imposti dal nostro sistema – l’attualità delle esigenze cautelari”. Ancora. “Il giudice – per legittimare la decisione – deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi concludenti atti a cogliere l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere e che, la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, è decisiva essendo tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare”. In altre parole, i magistrati hanno l’obbligo di seguire una serie di prescrizioni, a cominciare da “un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura, onde dimostrare la sua concreta proclività a delinquere”. Sull’attualità, secondo la Cassazione, ci sarebbe tanto da dire: “Il quadro processuale mostra che la misura fu applicata nel settembre 2011, in ragione della dichiarazione di insolvenza della società del gruppo correlato a condotte gestorie commesse tra la fine del 2008 ed i primi mesi del 2009. Lasso che, al di là di formalistiche prescrizioni cronologiche, si pone fuori dal perimetro di concreta attualità”. Per queste ragioni il ricorso è stato rigettato nel maggio scorso.