Probabilmente è la prima vittima del decreto liste pulite in Italia. Marcello Miniscalco, incandidabile per una condanna diventata definitiva nel 2001, alla stampa parla visibilmente scioccato. Ricorda la telefonata di Paolo Frattura che gli annunciava la cancellazione del suo nome dal listino maggioritario del centrosinistra, la confusione e il peso – sottolinea – per il grave danno “che ho provocato agli altri a causa di una mia leggerezza”. Poi accenna ad uno smarrimento assoluto, la voglia di farla finita. Aggiunge più avanti durante l’incontro con i cronisti: mi avrebbero ricordato per quel gesto. Ogni tanto si ferma, la voce ancora rotta dal pianto. Lo trattiene, ma si vede che è lì, sul punto di scoppiare. “Amo la vita e le sue piccole cose, sono uno che vede un tramonto e si sente contento. Come posso essere arrivato anche solo a pensarlo? Questo dà il senso di come affronto questa vicenda”, spiega. Vicino a lui la famiglia, in questi giorni, la moglie soprattutto e il suo partito, i socialisti. Al segretario nazionale Riccardo Nencini ha rassegnato le dimissioni verbalmente, nel verace gergo toscano lui lo ha invitato a combattere. Nel 1995, sindaco ricandidato di Rocchetta al Volturno, negò ai rivali dell’allora Pds (oggi Pd) di parlare dalle 23.24 a mezzanotte, come avevano richiesto. Era l’orario che tutti gli sfidanti volevano. “Ci dividemmo l’ultima ora di campagna elettorale, non ho impedito il loro comizio”, specifica. Le perse pure quelle elezioni, per un paio di voti, una vicenda che lo ha investito in pieno 18 anni dopo. Condannato per abuso d’ufficio, ha rinunciato alla riabilitazione a novembre, il decreto del governo Monti è entrato in vigore il 5 gennaio.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.