Nel 2010 il decreto Salva liste richiese solo 7 giorni per essere elaborato, approvato, pubblicato in Gazzetta. Interpretava le norme in materia di autentica di firme e accettazioni di candidature in maniera, per così dire, flessibile. L’obiettivo dichiarato: consentire il corretto svolgimento delle regionali. Quello reale: costruire il percorso per la riammissione della lista del Pdl – esclusa per errori formali – in Lombardia e Lazio. Stavolta nessun provvedimento interpretativo della norma è arrivato. E quel provvedimento – che per poco non costò a Napolitano l’impeachment invocato da Di Pietro – non è mai stato convertito in legge. Un atto ‘usa e getta’. Esclusa pure in Molise, nella sola circoscrizione di Isernia, per vizi insanabili nell’autentica delle accettazioni di candidature, la compagine del Popolo della Libertà (Crolla, De Bernardo, Lombardozzi – l’unico correttamente autenticato – e Scampamorte) si affida al Consiglio di Stato, ultima chance per compiere il ‘miracolo’ e rientrare nella mischia. Il Tar ha respinto la richiesta che era stata difesa e argomentata dal prof Vincenzo Colalillo: quelle tre autentiche (la prima senza firma, le altre senza timbro e con un semplice ‘scippo’) non possono passare. “Al Collegio non sfugge che, in materia elettorale, un eccessivo formalismo rischia di pregiudicare l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, rendendo estremamente difficoltose le attività preparatorie, di presentazione delle liste di candidati; tuttavia, in mancanza di un’auspicabile semplificazione della procedura di presentazione delle liste, di competenza del legislatore, è inibito al giudice amministrativo disapplicare la legge, laddove questa prescrive rigorosamente l’adempimento di determinate formalità per la validità della presentazione delle liste elettorali”, hanno scritto i magistrati nella sentenza.