L’abolizione della surroga in corso di mandato è legittima. Come già il Tribunale di Campobasso, anche la Corte d’Appello del capoluogo ha respinto il ricorso di Antonio Tedeschi, ex consigliere dei Popolari per l’Italia estromesso da Palazzo D’Aimmo quando l’istituto della sostituzione in Consiglio del primo eletto diventato assessore – in questo caso il titolare dei Lavori pubblici Vincenzo Niro – è stato abrogato con la legge di bilancio del 2020 dalla maggioranza che sostiene il governatore Toma.
La sentenza sull’appello di Tedeschi, difeso dagli avvocati Margherita Zezza, Pino Ruta e Massimo Romano, è stata depositata ieri. Il collegio, presieduto da Maria Grazia d’Errico, anche relatrice del provvedimento, ha confermato l’infondatezza della domanda, ravvisata anche dal procuratore generale, e rilevata dal difensore di Niro, Giacomo Papa.
La surroga, introdotta con la riforma della legge elettorale varata nel 2017, era prevista dalla disposizione che introduceva l’incompatibilità fra le cariche di assessore e consigliere. I giudici di primo grado, nel respingere con ordinanza la domanda di Tedeschi hanno rilevato che le norme relative all’incompatibilità non sono suscettibili di influire sulla volontà elettorale, perché operano solo ad elezione già avvenuta. Per questo, non determinando un affidamento legittimo, possono essere modificate anche dopo la competizione elettorale in quanto non incidenti sulla “legge
elettorale” in senso stretto. E possono quindi entrare in vigore immediatamente e non a partire dalla prossima legislatura, come Tedeschi e gli altri ex surrogati invece hanno sostenuto nei ricorsi.
Secondo la Corte d’appello, la soluzione adottata dal Tribunale è coerente con il condivisibile orientamento della giurisprudenza costituzionale e del giudice di legittimità, secondo il quale la situazione che sia causa di incompatibilità – a differenza di quella che sia motivo di ineleggibilità, che vizia la stessa investitura elettorale – può essere rimossa dall’interessato anche successivamente all’elezione.
E poiché il ricorrente ha agito a tutela del proprio preteso diritto, accertato come insussistente sulla base di principi non oggetto di significativi contrasti giurisprudenziali, non c’è motivo – argomenta il verdetto – per derogare al principio che le spese le paga chi perde in giudizio. Tedeschi è stato quindi condannato a rimborsare a Niro le spese dell’appello liquidate in 4.034.000 euro per compenso al difensore, oltre a rimborso forfettario del 15%, Iva e Cap come per legge.