All’alba del 23 aprile del 2018 arrivò il dato (seppur non definitivo) che consacrò Donato Toma presidente della Regione Molise.
Ieri, in occasione della ricorrenza, il governatore ha inteso “celebrare” l’evento con un post sulla sua bacheca Facebook: «Solo chi ha una storia può costruire il futuro. Quattro anni fa la nostra vittoria in Molise. Da qui è partito il riscatto del centrodestra unito, che ci porterà, l’anno prossimo, a restare alla guida della Regione e a conquistare il governo nazionale. Siamo l’unica scelta per il buon governo e la stabilità. #perbene».
Tra un anno i molisani torneranno alle urne per il rinnovo del Consiglio regionale ma anche del Parlamento. Toma sembra non avere dubbi: resteremo (noi, dunque, io) alla guida della Regione e conquisteremo pure il governo nazionale.
Che il presidente uscente ambisca al bis non è un mistero. Ma probabilmente si accontenterebbe (si fa per dire) anche di un seggio in Parlamento.
Da governatore in carica giocherà una partita importante. La legge assegna a lui infatti il potere di fissare la data delle elezioni regionali. Nel 2018 l’allora capo dell’esecutivo (Frattura) decise di posticipare al 22 aprile il turno locale rispetto alle parlamentari che si tennero il 4 marzo. È vero pure che parliamo di epoche diverse. Dopo la pandemia (nella speranza che nel 2023 il Covid sarà definitivamente sconfitto) e la guerra è complicato giustificare il costo di un’elezione da svolgere separatamente da quelle nazionali. Ad oggi, però, il joystick è nella mani del presidente.
Va da sé che votare in due momenti diversi offre maggiori opportunità soprattutto a chi è in carica.
Bisogna però fare i conti con il resto della coalizione e con i centristi. Anche se – è un dato – la maggioranza risulta molto appiattita sulle posizioni del governatore Toma. Iorio e Fratelli d’Italia l’unica variabile seria.
Ma i conti bisogna farli anche con Pd e 5 stelle. Dare per scontata l’alleanza tra dem e grillini senza sbavature è un azzardo. Lo è soprattutto perché manca ancora un anno. Probabilmente le due forze correranno insieme ma le ambizioni personali dell’una e dell’altra parte (vedi Fanelli, Greco, Facciolla) potrebbero indebolire la forza dello schieramento o quantomeno condizionarne l’appetibilità.
La strada è lunga e certamente – per centrodestra e centrosinistra – non sarà in discesa.
Un fatto sembra tuttavia certo: Toma non vuole abbandonare la scena. Giocherà le sue carte fino all’ultimo e non lascerà vittima dei perversi meccanismi interni che costrinsero Paolo Frattura ad uscire dalla porta di servizio. Senza nemmeno salutare.
ppm