Molise, anno 2002. La giunta regionale decide di attivare un contratto per prodotti finanziari derivati con la Rolo Banca (poi Unicredit). Lo fa con sua delibera e basta, non passa per il Consiglio. Attesta, anzi, nel provvedimento la «specifica competenza ed esperienza (della Regione, ndr) in materia di operazioni e strumenti finanziari». Chi “firma” la delibera? Andrea Greco, nel suo mood, lo declama così: «Dobbiamo dire grazie a Vitagliano, Picciano, Edoardo Falcione, Di Sandro e Iorio (all’epoca assessori e presidente, ndr). Patriciello e Chieffo assenti, forse per motivi personali… Erano comunque i famosi Vitagliano bond».
Sono gli anni, quelli, non solo in Molise, della finanza creativa. Si è scoperto poi che gli istituti finanziari non sono esattamente (e legittimamente) il buon samaritano e che il meccanismo dei bond è anzi assai rischioso per un ente pubblico, che riceve liquidità ma poi la paga carissima. Forse anche perché la specifica competenza ed esperienza vantata dall’allora giunta Iorio, la pubblica amministrazione non ce l’ha e quindi non sa cogliere i pericoli ‘nascosti’ del mercato obbligazionario. Tanto che la legge finanziaria del 2014 ha vietato a Regioni ed enti locali di imbarcarsi in ulteriori operazioni da Wall Street. In Molise, per esempio, col tempo i contratti derivati sono diventati tre (oltre a Unicredit restituiamo ogni anno anche a Deutsche Bank). Prestiti obbligazionari trentennali del valore complessivo di 270 milioni. Alle casse pubbliche e ai molisani, denunciano i 5 Stelle, sono costati 100 milioni. Sette milioni in più all’anno rispetto a quanto stabilito originariamente. Spiega il consigliere Fabio De Chirico che da tempo sta seguendo la vicenda: «Dal 2020 la Corte dei conti in sede di parifica invita la Regione a rinegoziare questi contratti, evidenziando vari profili di illegittimità sulla scorta di una pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione. Quei contratti potrebbero essere nulli. Si eviterebbe così di versare fino al 2033 i 7 milioni all’anno in più e chiedendo indietro quanto versato fin qui. Ma, inspiegabilmente, la giunta Toma non ha fatto nulla. Lo chiediamo ora noi con un ordine del giorno collegato al bilancio».
In sostanza, le condizioni dei contratti hanno portato a un particolare squilibrio a favore degli istituti di credito, da una cedola variabile da distribuire agli investitori si è passati a una fissa da versare alle due banche. «Sono soldi versati forzatamente alle stesse banche, in virtù di questi discutibili contratti derivati», puntano il dito i pentastellati. Il rischio era stato già evidenziato dagli ispettori del Mef, chiamati nel 2013 dall’amministrazione Frattura che si era appena insediata a una approfondita indagine sui conti della Regione. Ma nulla si mosse. Da due anni, insiste De Chirico, c’è un elemento in più, per nulla marginale. La Corte dei conti invita la Regione a valutare la validità delle delibere di giunta che di fatto autorizzarono la stipula dei ‘contratti swap’ sui tassi di interesse, che ogni anno generano differenziali monetari fortemente negativi e sono fonte di gran parte dell’indebitamento complessivo. Uno dei motivi di sospetta illegittimità delle delibere sta proprio nel fatto che le operazioni finanziare non furono autorizzate dal Consiglio, la Cassazione ha stabilito che l’organo consiliare deve valutare la convenienza di decisioni che vincolano l’utilizzo di risorse future. Inoltre, i magistrati contabili avanzano dubbi anche sulla lingua straniera adottata e sull’adeguata selezione del contraente. E adombra la potenziale invalidità dei contratti. Se via Genova agisse, ancora De Chirico, la Regione smetterebbe di regalare «alle banche controparti» 7 milioni all’anno e potrebbe quanto meno arrivare a transazioni su quanto fin qui versato.
Senza dimenticare, aggiunge Angelo Primiani, che smettendo di pagare quei soldi e ottenendo la restituzione di quanto già sborsato «si potrebbero liberare risorse quanto mai necessarie visto che la Regione ha ormai un bilancio asfittico, generare quindi economie da destinare ad altri settori». Con 100 milioni, aggiunge il capogruppo Greco, si potrebbe per esempio finanziare la legge sulla montagna. Se solo la giunta si decidesse a «trascinare in giudizio queste banche d’affari».
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