«Vieni, Aldo, andiamo a fare due passi». Se dovessi riassumere in un’unica frase il mio rapporto con Ciriaco De Mita sceglierei questa. Perché in quell’invito, così scarno e allo stesso tempo imperante, c’è tutta la filosofia umana di una persona buona e gentile; una crasi perfetta delle abitudini e delle intenzioni di un uomo per cui la politica è stata prima di ogni cosa passione ed impegno. C’è tutto, dicevo: l’occasione per scambiarsi opinioni tra i corridoi del Parlamento europeo, a Bruxelles e Strasburgo; la voglia di ritagliarsi un momento tra una votazione e l’altra per approfondire il punto all’ordine del giorno; il semplice desiderio di condividere un momento di amicizia tra colleghi.
E oggi che la notizia della sua scomparsa ha invaso le redazioni di tutta Italia, il mio primo pensiero è andato a quei momenti, tanto semplici quanto significativi. Del resto chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscere sia il politico che l’uomo, sa bene come De Mita fosse lontano anni luce dal divismo di una certa politica. Odiava i necrologi e l’ipocrisia che troppe volte li frequenta. Ecco perché credo che gli si farebbe un torto se, nel ricordarlo, sconfinassimo nell’adulazione fine a se stessa o, peggio ancora, nell’agiografia.
Certamente è stato un uomo di potere e uno statista vero: l’ultimo leader intellettuale di una politica che non c’è più. Ha servito il Paese in una stagione difficile, assumendosi grandi responsabilità e, più tardi, con l’avvento della seconda Repubblica, è stato un fiero sostenitore del pensiero popolare come argine alle derive demagogiche. Una lezione di grandissima attualità, senza dubbio. Eppure, per me, De Mita rimarrà sempre l’amico con cui amavo viaggiare quando insieme andavamo a Bruxelles per seguire i lavori del Parlamento europeo; la persona con cui era impossibile annoiarsi, dalla memoria di ferro, e che riusciva ad incantare chiunque con la sua straordinaria retorica. Mi ha sempre colpito il fatto che non avesse un cellulare: ai messaggi ha sempre preferito gli abbracci o una stretta di mano. Un uomo di pensiero, certo, ma anche un instancabile e appassionatissimo giocatore di tressette. E poi l’amore sconfinato per le sue radici, quel suo essere «uomo del Sud» a tuttotondo, a cominciare dal suo inconfondibile, e bellissimo, accento meridionale.
Ogni volta che veniva nel nostro Molise – che fosse a Pozzilli, per la presentazione del suo libro, oppure a Campobasso, per parlare della storia della DC – riusciva a sorprendersi come la prima volta per le bellezze della nostra terra. Genio e intelletto. Talento e leggerezza. De Mita ha saputo rappresentare, tenendoli insieme, gli aspetti più vivi e interessanti del popolarismo italiano. E lo ha fatto in ogni stagione della sua vita: tanto come leader di partito e Presidente del Consiglio, quanto come semplice cittadino e sindaco di Nusco, suo amatissimo paese natale.
Ci siamo visti e sentiti fino all’ultimo, con la franchezza di sempre e la consapevolezza che non avremmo avuto ancora molto tempo per prolungare le nostre lunghe chiacchierate telefoniche. E oggi che è il momento del dolore per la sua scomparsa credo sia giusto dire che con De Mita non muore un patriarca, ma un protagonista attivo e moderno della vita politica italiana. Mi piace pensarlo con le braccia incrociate, intento a fare due passi, nell’attesa del prossimo tressette.
Aldo Patriciello