Manca poco all’appuntamento del premier dimissionario Mario Draghi con le Camere.
La sensazione diffusa è che il capo del governo resti in carica fino alla scadenza naturale della legislatura: glielo sta chiedendo il Paese (dagli industriali alle associazioni di volontariato, dai sindaci ai cittadini comuni); glielo stanno chiedendo le cancellerie europee, glielo chiedono gli Stati Uniti.
Complicato dire: no, grazie!
Il premier resterà in carica, se questo dovesse essere lo scenario, senza il Movimento 5 stelle, che, imperterrito, tra un’assemblea fiume e un’altra, continua, defezioni a parte, a sostenere le sue ragioni.
Antonio Federico, unico dei quattro parlamentari eletti in Molise ancora in quota Conte, è perennemente incollato al pc. Le assemblee si tengono on line, «partecipano – spiega – deputati, senatori e il presidente Conte».
Ma siete pochi, sembra di capire.
«Circa 200. Se qualcuno non è collegato per qualche minuto, il numero scende. Ma almeno
170/180 persone le vedo collegate sempre».
Dove avete intenzione di arrivare?
«Ferma convinzione del percorso avviato. Qualcuno (tra i 5 stelle, ndr) non è convinto di alcune posizioni, ma non significa che sia in corso un braccio di ferro, stiamo solo ragionando. Mi dispiace poi che qualcun’altro dica: “Qualsiasi cosa si deciderà, io voterò la fiducia”. Siamo in una fase completamente diversa del dibattito. Non abbiamo mai votato contro la fiducia al governo».
Cosa intende per qualcuno?
«Un numero piccolo di persone rispetto alla totalità dell’assemblea».
Quindi agenzie di stampa e organi di informazione nazionali ci stanno raccontando sciocchezze circa le defezioni?
«Guardi, seguo con molta attenzione i resoconti. Il nostro viene spesso definito un “gruppo spaccato”. Non mi faccia dare numeri a caso, ma non ho contato più di 20 interventi contro la linea del Movimento».
Esclude che qualcuno possa fare buon viso a cattivo gioco?
«Cosa vuole che le dica? Tra l’altro sta ricominciando l’assemblea, mi perdoni…»
Non crede che la crisi, dopo la scissione di Di Maio, farà perdere ulteriore consenso al Movimento?
«Non stiamo ragionando sul consenso, né a perdere, né a guadagnare. Quello che succederà dal punto di vista elettorale lo racconterà la storia. Sono convinto che il percorso intrapreso è lineare e coerente».
Non le sembra troppo mettere a rischio il governo in questo particolare momento storico per l’inceneritore di Roma?
«Le cose non stanno proprio così. Nel Decreto aiuti, lo avevamo detto chiaramente, l’inceneritore non c’entrava nulla. Non a caso i ministri nella riunione del Cdm si sono astenuti. In commissione (di cui Federico fa parte, ndr) ci abbiamo lavorato per due settimane, abbiamo provato a modificarlo, ma non ci siamo riusciti. Alla Camera non abbiamo votato il provvedimento perché ci hanno inserito altre cose: un emendamento di Forza Italia sul reddito di cittadinanza ai limiti del fascismo; il caro bollette: hanno inserito un maxiemendamento alle otto di sera, a mezzanotte andava votato perché entro le 4 andava convertito… e non c’era traccia delle soluzioni da noi proposte per il superbonus».
Provvedimenti, sembra di capire, che non avevano attinenza con il Decreto aiuti ma inseriti nello stesso, giusto?
«Sì».
E cosa c’entrava la norma che prevedeva l’incompatibilità tra presidente di Regione e commissario della sanità che il Movimento 5 stelle fece inserire nel decreto Genova e che Mattarella rispedì al mittente?
«Il punto è un altro. Il fatto che il decreto possa contenere al suo interno norme non omogenee lo decide l’ufficio di presidenza delle commissioni. All’interno del Decreto aiuti abbiamo trovato norme frutto di accordi di maggioranza, molto complicati da raggiungere, e su questioni irrisolte. Intanto sono partiti con il piede sbagliato perché hanno inserito il commissariamento di Roma e l’inceneritore. Abbiamo cercato di correggere affermando: “Se il provvedimento è coerente con il piano regionale dei rifiuti per noi va bene”. I poteri commissariali li volevamo per Virginia Raggi, figurarsi se non vanno bene per Gualtieri. Durante la fase emendativa, poi, sono subentrati fattori che non ci sono piaciuti dal punto di vista politico, ma ritenuti ammissibili dalla presidenza. Ecco perché abbiamo preso le distanze. È un fatto politico, non di forma, per tornare al decreto Genova».
La sua speranza?
«È che presto possa esserci un Parlamento che legittimi un governo che risponda ai problemi dei cittadini. Che sia un altro governo Draghi, un governo tecnico, che ci siano elezioni anticipate, non lo so. Ma il mio auspicio è questo».
Federico si candiderà alle prossime elezioni?
«Non è un tema per me dirimente. Mi creda, non è questo il mio primo pensiero. E neanche il secondo».
Sì o no?
«Non è il mio primo pensiero».
Non crede che l’accordo con il Pd per realizzare un fronte progressista possa a questo punto naufragare?
«Per me è importante portare avanti il progetto in Molise per creare un’alternativa al centrodestra. Ci saranno giornate, settimane, belle calde, non solo dal punto di vista climatico. Ci sarà molto da lavorare. L’intenzione è creare un’alternativa forte a Toma o a chicchessia. E sto lavorando affinché il progetto vada in porto con il Pd e con tutte quelle forze di sinistra e civiche che esistono in Molise».
Potrebbe essere il Pd a cambiare idea dopo la crisi?
«Provo a lavorare affinché ciò non accada».
LuCo