L’interesse primario resta la Regione dove è convinto di poter ancora fare la differenza «perché il Molise torni a crescere». Anche adesso che il Parlamento italiano è a portata di mano come non mai perché Fratelli d’Italia viaggia col vento in poppa, l’ex governatore non si lascia suggestionare dal momento favorevole. Nessuna (forse) intenzione di tornare tra gli scranni di Montecitorio o Palazzo Madama, seggi conquistati in passato e poi ceduti a Riccardo Tamburro e Gino Di Bartolomeo per tornare a fare il presidente della Regione. Erano gli anni d’oro di Forza Italia. E Michele Iorio era molto vicino al politico di Arcore.
Presidente Iorio, perché Berlusconi ha staccato la spina a Draghi?
«Non credo sia andata così. C’era un legame forte tra i due, non c’era alcuna ragione per staccare la spina. È una ricostruzione degli avvenimenti che non condivido. Più verosimile questa: la Lega viene ‘trascinata’ da Berlusconi a sostenere un governo senza 5 stelle, Draghi vede Letta, gli propone la stessa cosa, ma il segretario del Pd dice no».
Al di là delle responsabilità, converrà però che non è stato un finale dignitoso come ha detto il ministro Giorgetti.
«Per Draghi?»
Anche. Ma direi per tutti, Parlamento e politica.
«Noi possiamo ragionare per quello che abbia visto senza conoscere cosa è successo dietro le quinte. Draghi è stato poco sereno nell’affrontare il Parlamento e nel dare le motivazioni della permanenza del governo. Forse avrebbe potuto superare questa fase affrontando la questione con maggiore accortezza. Fermo restando che è comunque difficile dare giudizi su cose che non si conoscono, ho visto un presidente del Consiglio molto nervoso e anche un Partito democratico preoccupato di rimanere stretto nella morsa di un governo centrodestra-Pd. Altrimenti non mi spiego perché Draghi abbia visto solo Letta. Evidentemente se ha sentito solo lui gli ha proposto quello che il centrodestra gli aveva garantito».
Una mobilitazione generale a favore di Draghi non si era mai vista. I partiti però non ne hanno tenuto conto. Così facendo non hanno tradito i cittadini?
«Sono convinto che la preoccupazione del momento ha spinto tutti ad immaginare un percorso più soft e quindi una fine naturale della legislatura. Però attenzione, stiamo parlando di 3/4 mesi di differenza durante i quali non si risolvono i problemi dell’Italia e durante i quali si sarebbe fatto quello che si può fare anche con le elezioni. Tutta questa enfatizzazione credo sia dovuta proprio alla paura del momento, e di fronte alla paura è chiaro che la gente reagisce dicendo di fare meno confusione possibile».
Il rischio è comunque di allontanare ulteriormente i cittadini dalle urne.
«Su questa faccenda stiamo montando una bolla mediatica dimenticando che i cittadini si sono allontanati già da molti anni. Anche con il governo Draghi si è votato in tanti comuni e in alcuni più della metà degli elettori non si è recata ai seggi. L’allontanamento dipende da una politica che da troppo tempo non decide, questa è la verità. Dicono tutti la stessa cosa, i programmi sono simili e sovrapponibili, ognuno è complementare all’altro, non c’è più differenziazione, quindi non c’è più lotta, né partecipazione e neppure entusiasmo. Il governo ‘di tutti’ questo sentimento lo agevola, non lo elimina».
L’impressione però è che anche stavolta abbia pesato il proprio tornaconto. L’accelerata l’ha data chi oggi è favorito nei sondaggi.
«Per quel che riguarda Giorgia Meloni, beh… ha invocato le urne anche quando non era favorita nei sondaggi. Gli altri non so. Però la responsabilità vera è dei 5 stelle. Punto. Una crisi innescata anche da una resa dei conti interna al Movimento dopo la presa di posizione del ministro Di Maio e la fuoriuscita di tutti quei parlamentari. Adesso poi ci sono le ‘mammolette’ del Pd che tirano dentro il centrodestra come corresponsabile della fine del governo Draghi. Ma non è assolutamente così. Se il governo di unità nazionale è nato lo si deve alla disponibilità di Berlusconi e di Salvini che per questo hanno rotto l’unità del centrodestra. Non certo per i sacrifici del Pd che si è accomodato al governo tranquillamente ed è rimasto lì convinto di poter andare avanti».
A Ferragosto dovranno essere pronte le liste. Chi sceglierà i candidati in Molise?
«Le candidature le decidono i partiti a Roma. Con questo sistema elettorale non c’è modo di immaginare una strada diversa. Certo, ci saranno le proposte che vengono dal territorio ma decidono i partiti delle due coalizioni che si dovranno formare necessariamente. Io non credo a uno spazio autonomo, a un’area di centro che – se ci sarà – sarà residuale».
E lei presidente tra Parlamento e Regione cosa sceglierebbe?
«Io l’ho detto da tempo, la mia idea è quella di candidarmi alla Regione perché sono convinto di poter dare una possibilità in più al Molise di tornare a crescere, di tornare ad essere una terra serena e non conflittuale, una regione che lavora e che guadagna spazi di crescita così come è avvenuto durante gli anni del mio governo».
E se le propongono la candidatura al Parlamento?
«Ne parlerò con chi me la proporrà».
A.L.

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