Originario di Macchiagodena, di sinistra da sempre, per 35 anni chirurgo e poi primario del Cardarelli. Gli ultimi anni di lavoro di Giuseppe Cecere nella sanità pubblica sono stati condizionati fortemente dal Covid e caratterizzati da una sua strenua opposizione alla gestione della pandemia da parte dell’azienda sanitaria e della Regione. «I molisani – dice oggi che rappresenta il Pd nel collegio proporzionale del Senato – hanno capito benissimo il senso di quella battaglia».
Dottor Cecere, perché ha accettato questa sfida che è certo ‘possibile’ ma è molto difficile?
«In un momento così oscuro per il nostro Paese che vede la contemporanea presenza della guerra in Ucraina, della pandemia Covid19, della crisi economica ed energetica – che vanno a sommarsi, per i molisani, a un’evidente incapacità della maggioranza di centrodestra a dare una risposta anche minima ai bisogni dei cittadini – ho accettato di buon grado la possibilità di rappresentare la regione, dove sono nato e vivo, al Senato della Repubblica.
Ho lavorato per decenni a contatto con i molisani, li conosco bene e so di questa regione il bene e il male, i pregi ed i difetti, il passato ed il presente.
Ho fatto un mutuo, come tutti, per avere una casa e i miei figli hanno studiato qui, non vengo in Molise per i 15 giorni della campagna elettorale stando in albergo per poi scomparire.
Credo di avere sia le mani pulite sia la schiena dritta per pretendere a Roma ciò che ci è dovuto, ciò che è scritto nella Costituzione, ciò che la legge prevede senza la necessità di ricorrere al malgoverno. Qualcuno invece sostiene senza vergogna, chiedendo il voto ai molisani, che tramite il sottobosco riuscirà a farci avere l’oro zecchino. Il gatto e la volpe parlano con i molisani come fossimo Pinocchio. Una vergogna! La sfida con il mio popolo è possibile ricordando che solo tutti insieme possiamo farcela».
La sanità è da quasi 20 anni l’emergenza più impattante del Molise, il commissariamento limita la programmazione, il debito è tornato ad aumentare e il depauperamento dei servizi è ormai oltre il livello di guardia.
«La sanità è l’emergenza delle emergenze. Da oltre un decennio abbiamo commissari nominati dai vari governi che ben poco hanno fatto mentre la percezione di abbandono della salute territoriale e ospedaliera, della prevenzione e del supporto alle disabilità è entrata prepotentemente in noi tutti. Il sistema sanitario già in gravi difficoltà è imploso con la pandemia da Covid19 che, ricordo, ha causato oltre 600 morti. Alle carenze strutturali e di personale specializzato si è aggiunta la assoluta inadeguatezza da parte di chi aveva e ha il compito di dirigere la Regione e l’azienda sanitaria. Oggi troviamo vaste aree della regione dove non è assicurato l’articolo 32 della Costituzione, cioè quel diritto alla salute che sta alla base del vivere civile e del progresso economico».
Primario del Cardarelli, ospedale in cui ha lavorato per decenni prima della pensione, lei è stato uno strenuo contestatore della gestione dell’emergenza pandemica. Quanto è stata compresa secondo lei dai molisani quella battaglia?
«Lavorando per 35 anni per la sanità regionale non potevo tacere quanto si profilava. Coerentemente, pur essendo dipendente Asrem, ho ritenuto di non poter tacere di fronte a quanto accadeva sotto i miei occhi. I cittadini hanno capito fin troppo bene chi sta dalla parte della gente senza se e senza ma».
Quali sono le sue proposte per risollevare le sorti della sanità?
«Cosa fare ora? Intanto, l’assegnazione dello 0,6% del Fondo sanitario alla Regione Molise. Ora la quota viene calcolata solo in base al numero degli abitanti e non alla diffusione territoriale: è sbagliato e va corretto. Inoltre, va rimosso il commissariamento che dopo 13 anni non ha dato un solo esito positivo. Va poi designato finalmente un management adeguato. Bisogna mettere il territorio al centro del servizio di assistenza, implementare la telemedicina, ristrutturare la rete ospedaliera, chiarire il rapporto con il privato accreditato favorendo la qualità, gestire l’Irccs in collaborazione con le altre Regioni e puntare sul rapporto con l’Università. Tutto questo dobbiamo farlo in concertazione con gli operatori della sanità, con le associazioni dei pazienti, con i rappresentanti del territorio e dei lavoratori, non con i potentati di turno. Ci salviamo solo tutti insieme se facciamo massa critica».
Quali sono le altre priorità per il Molise?
«Aree interne, viabilità, infrastrutture, lavoro, giovani. Questi temi sono fra loro assolutamente legati uno con l’altro. Il Molise è al secondo posto in Italia per morti sulla strada in rapporto agli abitanti. Questo la dice lunga sulla qualità delle nostre strade che sono vecchie e assolutamente inefficienti. I treni, elemento fondamentale per lo spostamento di persone e merci, sono un’araba fenice. Per fare un esempio, la sola La Molisana, azienda di punta della regione, necessita di 24.000 Tir all’anno che coprano il trasporto delle merci necessarie, con costi notevolissimi sia in termini economici che di traffico su gomma. Con queste infrastrutture è difficile fare sia impresa che turismo. Con il crollo dell’impiego nel terziario, con la scarsa attrattiva per le imprese come ho già detto, con l’agricoltura in difficoltà per il prezzo dell’energia e per la presenza dei cinghiali, e un assessorato a dir poco assente, manca una proposta per il lavoro e quindi le forze giovani emigrano spopolando soprattutto le aree interne».
E lei cosa propone?
«Partiamo da un dato assodato: il Molise è terra disagiata. Siamo 290.000 abitanti solamente. La mia proposta è questa: per invertire la tendenza allo spopolamento, per aumentare il reddito pro capite, per attirare sul territorio regionale le attività produttive, dobbiamo proporre per “la Regione che non c’è” uno status che rientrerebbe bene nella legge Renzi, approvata per richiamare in Italia i ragazzi, i cervelli, che si erano trasferiti all’estero, mettendo a loro disposizione una tassazione ridotta solo sul primo 30% del reddito. Una tale disposizione fiscale determinerebbe un rientro dalle altre regioni e richiamerebbe in Molise tante aziende favorite con l’agevolazione fiscale.
Il basso numero di abitanti renderebbe una tale iniziativa assolutamente praticabile per dieci anni e sarebbe un volano incredibile per tutti noi combattendo contemporaneamente lo spopolamento, la gestione del territorio, la disoccupazione, promuovendo le infrastrutture. Il costo per lo Stato sarebbe molto basso e assolutamente fattibile proprio grazie all’esiguo numero di abitanti. Ciò renderebbe appetibile il Molise anche per i professionisti che attualmente preferiscono altre realtà più strutturate»
Il 25 settembre si gioca il primo tempo di una lunga partita, in primavera infatti ci saranno le regionali. Secondo lei il Molise è pronto a cambiare pagina?
«Il 25 settembre i molisani potranno scegliere chi votare, chi è più serio e credibile al loro cospetto. Vorrei solo ricordare una frase di San Paolo recentemente riportata da Papa Francesco. “Le persone vanno giudicate per quello che hanno fatto e non per quello che dicono”. Io ho fatto e faccio ancora il chirurgo, ho eseguito in prima persona 7.500 interventi di cui 2.800 per cancro. Vivo in questa regione e sarò sempre disponibile, come sempre lo sono stato. Di più non aggiungo. Mi auguro ci sia un forte segnale per me ma anche di inizio smobilitazione per gli inquilini di Palazzo Moffa perché il tempo sta arrivando».
Di lei si racconta che utilizza ancora la parola “compagni” nelle riunioni e negli incontri pubblici. Identità o nostalgia?
«Vede, mio padre è sempre stato socialista – il partito di Nenni e Pertini però – mentre mia madre, che veniva dall’Emilia, aveva grande simpatia per Enrico Berlinguer. Ma sono passati 40 anni ed il mondo è cambiato. Tuttavia, il richiamo di vicinanza a tutti quelli che lavorano per il bene proprio, della loro famiglia e della collettività rimane. Così come l’idea di non lasciare mai nessuno indietro. Nessuno, ripeto, si salva da solo».
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