Febbraio 2023. È la data presunta delle consultazioni regionali del Lazio. Il presidente Nicola Zingaretti, eletto alla Camera dei deputati nelle file del Pd, ha 60 giorni di tempo per decidere se restare a capo della Pisana o andare a Montecitorio. Dando per scontato che sceglierà il Parlamento (le due cariche sono incompatibili), formalizzate le dimissioni da governatore del Lazio, partirà il conto alla rovescia di 90 giorni entro i quali bisognerà andare a votare.
In Molise si guarda con interesse a quanto accade nella regione confinante [l’articolo 2, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2017 (del Molise, ndr), stabilisce che le elezioni del presidente della giunta e del Consiglio regionale «possono aver luogo a decorrere dalla quarta domenica precedente il compimento del quinquennio e non oltre il termine stabilito dalla normativa statale, ovvero, nel caso di cessazione anticipata del Consiglio regionale, entro tre mesi dalla cessazione della stessa»].
Questa volta non sono i “soliti” Iorio, Romagnuolo, i due consiglieri del Pd e i sei del Movimento 5 stelle a paventare la fine anticipata della legislatura. L’indiscrezione circola infatti con insistenza negli ambienti di centrodestra.
Per sfiduciare Toma servono 11 voti. I dieci di 5 stelle, Pd, Iorio e Romagnuolo sono assicurati da tempo. Manca l’undicesimo.
Intanto dall’opposizione non sarà avanzata alcuna proposta di mozione. Lo hanno ribadito più volte nel tempo lo stesso Iorio, Greco (5s) e il Pd: non presteremo ancora il fianco a situazioni che puntualmente inducono la maggioranza a trovare in extremis la quadra pur di non andare a casa – argomentano. «Portateci il documento con le vostre firme e date per apposte le nostre».
Da un giro di telefonate tra i consiglieri più ambiziosi del centrodestra, quelli, per intenderci, che puntano a governare ancora la Regione, nessuno nega le fibrillazioni. Tutti, però, affermano che seppur un ragionamento è in corso, a breve non accadrà nulla: «Chiedere ai molisani di recarsi alle urne a Natale, sarebbe un suicidio politico», è più o meno il pensiero comune, sussurrato a denti stretti e solo dopo aver ricevuto ampie e solenni rassicurazioni sulla riservatezza delle fonti.
Anche la risposta circa le motivazioni a supporto della sfiducia è in linea di massima simile: «La vittoria del centrodestra alle elezioni politiche non deve trarre in inganno, in Molise la coalizione ha diversi problemi da risolvere al suo interno. Tira una brutta aria, a prescindere. Chi vive il territorio sa che è necessario un cambio di rotta deciso e veloce. I molisani sono adirati per molteplici ragioni. Ciò non significa che Toma abbia fatto male. Certamente poteva fare meglio, ma quando le cose non vanno, il calcio lo insegna, il primo a pagare le conseguenze è l’allenatore».
Andare alle elezioni insieme al Lazio, «consentirebbe intanto al centrodestra di sfruttare la scia dell’ampio consenso di cui gode Giorgia Meloni. Il tempo, inoltre, è quello giusto per rimettere a posto un po’ di cose e presentarsi agli elettori con un progetto preciso e che contempli il necessario per consentire a chi ha deciso di vivere in Molise un futuro dignitoso e con servizi all’altezza».
Al presidente in carica vanno quantomeno riconosciute le attenuanti generiche: governare con la pandemia, con una guerra alle porte dell’Europa, con l’emergenza energetica e la sanità gestita per tre anni e mezzo da commissari esterni, non è stato affatto semplice.
Ma la politica, si sa, è nemica della riconoscenza e amica dell’ingratitudine.
Certo è che i malumori nel centrodestra, Toma o meno, sono notevoli. E il voto del 25 settembre li ha accentuati. La resa dei conti nell’ambito della coalizione sembra vicina. Resta da capire chi ne uscirà vincitore e chi sconfitto.
Spalle larghe e petto in fuori, l’assessore Quintino Pallante gongola sulla vittoria di Fratelli d’Italia, che in Molise ha eroso voti a Forza Italia. Il titolare della delega ai Trasporti è tra coloro a cui piacerebbe sedere sullo scranno più in alto di Palazzo Vitale, ma sa bene che le tessere da sistemare nel puzzle sono molte. A cominciare da Michele Iorio, che non ha mai nascosto il desiderio di tornare a capo della Regione; passando per Aldo Patriciello, che non ha ambizioni personali ma, disponendo di un cospicuo bacino di voti – che nel bene e nel male negli ultimi 15 anni ha determinato la vittoria o la sconfitta del centrodestra – vorrà ovviamente dire la sua.
Nicola Cavaliere, seppur in una fase di religioso silenzio, è in attesa del redde rationem. «I fatti del basso Molise», ormai notissimi, «gridano vendetta» – si apprende da fonti vicine all’assessore all’Agricoltura (il riferimento è al coordinatore provinciale di Forza Italia, Francesco Roberti, che alle politiche ha sostenuto Fratelli d’Italia, ndr).
Un capitolo a parte per i due “Vincenzo” dell’esecutivo, Cotugno e Niro: il primo orfano del cognato Patriciello, che di continuare a sostenere familiari non ne vuole sapere, l’altro orientato verso il Carroccio di Salvini. O almeno lo era prima del deludente risultato elettorale.
Sembra di capire, in buona sostanza, che la sfiducia (se sfiducia sarà) non vuole essere un atto diretto nei confronti del presidente Toma, ma un’occasione – quella delle elezioni nel Lazio – da cogliere al volo per salire sul treno che la futura premier Giorgia Meloni allestirà per conquistare la Pisana.
In politica vale tutto e l’esatto contrario. Soprattutto in un’epoca, quella attuale, dove le cose cambiano con una velocità disarmante.
Nulla di scontato, dunque. Ma la tentazione, seppur sussurrata tra le righe e sottovoce, è notevole.
Il countdown è partito: per votare a febbraio 2023, la legislatura dovrebbe terminare tra fine ottobre e metà novembre (2022). Questione di giorni, dunque. Lo stretto necessario per trovare la quadra. Nessuno – c’è da scommettere – rinuncerà ad un solo giorno di emolumenti se prima non otterrà ampie garanzie per il futuro. O quantomeno crederà di ottenerne: mai dare per scontato l’esito di una votazione, infatti. Talvolta gli elettori sanno essere micidiali.
In ultimo, attenzione all’opposizione, 5 stelle in particolare: non è detto che a Greco & compagni stia bene fare da stampella ai ribelli del centrodestra. Dopo circa cinque anni il tempo potrebbe essere scaduto.
lu.co.