Un po’ prolissa, ma Micaela Fanelli, politica preparata e intelligente, ama parlare. A lungo. Ama essere ascoltata. Ama articolare nel dettaglio il suo pensiero, forse nel timore di non essere compresa se non dagli addetti ai lavori.
Mai come in questa circostanza, i lungi periodi non le servono per nascondere la verità, tutt’altro. La capogruppo in Consiglio regionale del Pd ammette a viso aperto la sconfitta elettorale e se ne assume, per quanto di competenza, ogni responsabilità. Un mea culpa chiaro, nitido, che non lascia spazio a interpretazioni di sorta.
In cima all’agenda c’è la ricostruzione di un partito forte, capace di aggregare e di vincere le prossime regionali.
Come? La proposta di Fanelli è chiarissima e per certi versi rivoluzionaria: cento giovani per ricostruire il Partito democratico del Molise.
Il voto delle politiche, Fanelli, non lascia spazio ad ipotesi: il Molise ha scelto il centrodestra. Ci sono i margini e, soprattutto, il tempo per recuperare?
«Sì. Convintamente, sì».
Qualcuno del Pd attribuisce la debacle alla legge elettorale. Ma se proprio non vi piace questa legge, peraltro votata dal Partito democratico, perché non l’avete cambiata?
«Ci abbiamo provato, ma vorrei ricordare che nel precedente Parlamento il Pd non raggiungeva neanche il 15% dei membri. E comunque concordo con lei, se vuole dire che è una lettura riduttiva e che non coglie l’essenza. Se non approfondiamo, fermandoci allo strumento “neutro” della legge, guardiamo il dito e non la luna».
Tanti gli errori. Ma nessuno sembra essere esente. Letta si è più speso contro la Meloni che per il programma del Pd.
«Proprio questo, nella Direzione di giovedì scorso, è stato uno degli aspetti più evidenziati in modo critico. La contrapposizione ha polarizzato lo scontro, rafforzando l’avversario. Mi ritrovo nella lettura offerta da un autorevole esponente del partito nazionale: una destra sociale e non liberale, minoritaria anche tra i conservatori che, a causa della nostra assenza tra i problemi reali delle persone, ha avuto la capacità di rivolgersi al nostro elettorato non con un buon programma, ma facendo leva sulle paure e la rabbia. Noi abbiamo perso su questo terreno, non oggi, ma da almeno dieci anni. E allora, o torniamo a caricarci dell’emergenza sociale in modo riconoscibile e convincente da chi non ce la fa oppure continueremo nell’errore della cosiddetta disintermediazione politica, che riduce gli interessi di tutti in favore di quelli particolari e corporativi».
Fosse stata lei al Nazareno, avrebbe spinto per l’apertura a Conte?
«Sì. Ma nelle situazioni bisogna trovarsi per capire: troppo facile parlare dopo e dal di fuori. In Direzione non c’è stato alcun tentativo di scarica barili, ma un’assunzione di responsabilità collettiva. In fondo, è stata una scelta decisa dal partito nazionale all’unanimità».
Cosa è successo, più precisamente, in Direzione nazionale? Uno psicodramma, sembra di capire.
«No, tutt’altro. Il Pd ha riconosciuto ed esaminato le ragioni della sconfitta, e rilanciato verso il futuro. Un approfondimento necessario per capire da dove ripartire, senza arrendersi. Per essere, come ha detto Letta, “Il partito non solo di quelli che ce la fanno”. E per diventarlo, dobbiamo cambiare innanzitutto noi. Identità di principi e di idee; scelte chiare, metodo più partecipativo e meno accentratore e soprattutto un profondo rinnovo generazionale e di genere, ad iniziare dalla classe dirigente, a Roma e nei territori.il Pd è ancora un grande partito, che ha perso una sfida elettorale, ma non le sue capacità, e soprattutto la sua dignità. E il nuovo congresso dovrà servire proprio a questo, a rinnovare le idee e le persone che avranno il compito di guidarlo».
Ottimi propositi, ma propositi restano. Vedremo. Tornando al voto, non crede che Letta abbia messo il Paese in mano alla Meloni e il Pd molisano non sia stato in grado di muovere il primo passo verso la riconquista della Regione?
«Credo che l’unità dei progressisti e democratici, dei 5 stelle, dei moderati che vogliono costruire un’alternativa seria e competente, degli amministratori che faticano tentando di strappare progetti al Pnrr senza strutture comunali, delle forze generose del terzo settore, dei movimenti civici con voglia di rinnovamento, vinceranno le elezioni regionali. Insieme. Possono e devono offrire una alternativa ai molisani. E lo faranno».
Per un partito che vuole governare il Molise, finire sotto i 5 stelle non è proprio il massimo. Addirittura i grillini hanno fatto meglio di tutta la coalizione.
«Se stiamo al dato di coalizione, stiamo sostanzialmente lì. Se poi vogliamo allargare il ragionamento, possiamo dire che i dati di politiche e amministrative regionali sono molto differenti. Basta guardare la Sicilia. O il Molise cinque anni fa (sette punti percentuali in meno). Oppure le comunali con il 4% di Isernia e Riccia, dove il simbolo dei 5 stelle non ha eletto neanche un consigliere comunale. Ma se facciamo queste letture ombelicali e parziali non ne usciamo. Ogni elezione ha una storia a sé. E questa ci dice che noi abbiamo perso. Io, noi, il Pd. Su questo dobbiamo ragionare e da qui dobbiamo ripartire».
Il segretario Facciolla vanta il risultato migliore del Sud. In realtà vanta anche un +3,5% rispetto alle politiche del 2018, risultato catastrofico considerando che il centrosinistra governava la regione e Facciolla era assessore plenipotenziario. Come si suol dire: chi si accontenta, gode.
«Anche io ho ricoperto il difficile ruolo di segretario regionale, ho perso le elezioni politiche del 2018. Anche allora fu il miglior risultato del Sud e mi sono dimessa, non mi sono ricandidata alla Segreteria e non lo farò nemmeno questa volta. È chiaro che onori e oneri ricadono sempre in testa ai vertici, è giusto così. Ma l’analisi di un insuccesso ha sempre diverse motivazioni e responsabilità. E la realtà dei fatti afferma che anche questa volta abbiamo perso, tutti. Arriviamo terzi. Non eleggiamo parlamentari, neanche la capolista al proporzionale, che per qualche ora ci ha fatto sognare, né il segretario del partito che ci rappresenta tutti e che da Roma è stato spostato in una seconda posizione di per sé non eleggibile. Caliamo di circa 3.000 voti in termini assoluti. In termini percentuali è vero che cresciamo dal 15 al 18%, ma è vero anche che dentro ai voti Pd confluiscono buona parte dei voti di Leu, che nel 2018 in Molise ha raggiunto il 5%. Alessandra Salvatore, brava nella campagna, ha lavorato con una squadra di persone che cinque anni fa aveva lavorato per Michele Durante, Gianmaria Palmieri e Oreste Campopiano, che al Senato si è attestato ad un ottimo 5%. E così l’apporto degli altri candidati e dei civici. Li ringrazio tutti, a partire dai nostri ottimi Caterina Cerroni, Rossella Gianfagna e Peppe Cecere. Ognuno col suo apporto di competenze, energie e consenso. Così come i gruppi organizzati che si sono impegnati, insieme ai nostri militanti e dirigenti. E ringrazio i cittadini che ci hanno scelto. Bisogna però interrogarsi su chi è rimasto a casa e su chi ha preferito votare diversamente. Senza questa analisi, schietta e sincera, in aggiunta a quella che la legge elettorale maggioritaria impone le alleanze e se non lei fai hai perso prima di partire, non potremo adottare correttivi e miglioramenti. Lo stimolo alla discussione e al confronto è pertanto sacrosanto. Se li si chiede, non si tratta di lesa maestà. Oggi si ha troppa paura nel dirsi le cose in faccia. A viso aperto. Troppi tatticismi e poca verità. Bisogna cambiare non solo i volti, ma il metodo, recuperando l’indispensabile contraddittorio».
Grande impegno dei candidati molisani, che hanno girato in lungo e in largo la regione. Sembra tuttavia essere mancato il supporto del partito. Fatta eccezione per la deputata europea Picierno, non si è visto in Molise un solo leader nazionale.
«Sì, si poteva fare di più. Tutti, io per prima. Trovo odiose le analisi del voto commiseratorie, ma sempre capaci di individuare solo negli altri gli errori. A Roma, nella Direzione del partito, si è distinto positivamente solo chi non cadeva nell’errore di salire sul pulpito e individuare sempre negli altri gli attori della sconfitta. Quando perde un partito, si perde tutti insieme. Certo con responsabilità differenziate. Ma tutti insieme, però, dobbiamo ora ragionare. Ad iniziare dalla classe dirigente in carica, a Roma così come in Molise».
Parliamo di “noi”. Tra qualche mese si vota in Molise per il rinnovo del Consiglio regionale. L’esito delle politiche influirà sulla formazione delle coalizioni e sul voto?
«No. Le politiche devono insegnarci molto, ma non credo determinino esiti locali. È una pagina tutta da scrivere. La luna di miele per la Meloni, del resto, presto finirà, fra problemi di bollette e di pandemia, di vincoli di bilancio e di attese non mantenute. E questo aiuterà a costruire un lavoro di alternativa al centrodestra. Un centrodestra che dopo le politiche si caratterizza per essere sempre più estremo. Composto da persone, tra poco al governo, che il 25 Aprile potrebbero non alzarsi in piedi. Partiamo dunque dalla certezza che non vogliamo che chi si ispira a questo sia alla guida della nostra Regione. Ma evidenziamo anche la loro scarsa o nulla capacità di dare risposte ai molisani in cinque anni. Perché dovrebbero riuscirci ora? Qualcuno pensa di affrancare la storia di questi anni di governo con una sfiducia last minute? Non ci riuscirà. Sono stati inefficaci in tutti i campi – sanità, lavoro, sviluppo, ambiente, infrastrutture, trasporti – e i molisani lo sanno. Di 20 leggi regionali, 13 sono state impugnate quest’anno. Il record peggiore di tutte le regioni. Non sono capaci e sono oggi più divisi e rissosi che mai. Comprendo che le attenzioni principali in queste ore si stanno focalizzando su di noi, ma non dimentichiamo quello che sta succedendo in modo molto più drammatico e irrisolto nel campo avversario. Un Lotito o un Cesa che prendono il seggio e se ne vanno, finiranno solo con acuire le insoddisfazioni del centrodestra, più che aiutarlo».
Ma il capogruppo Greco, forte del risultato, mostra i muscoli: va bene l’intesa ma le carte le diamo noi.
«I 5 stelle hanno dimezzato i propri consensi. Credo che si debbano porre molti più interrogativi dei nostri. C’è un voto di astensione che segnala un dissenso forte che non si esprime più neanche nel cosiddetto voto “antisistema”. Un dato che interroga tutti, ma credo soprattutto loro. Lavoriamo però archiviando questa fase sia per noi che per loro negativa. Rispettiamoci. Sono fiduciosa. Dobbiamo essere costruttivi e lavorare alla pari, ma questo non significa essere arrendevoli. Apprezzo gli approcci degli altri partiti e movimenti soprattutto quando si pongono in modo aperto e dialogante. E loro immagino di noi. Ora serve questo. Né diktat, né primogeniture. Paritariamente e con l’obiettivo comune di non lasciare il Molise al centrodestra».
Riuscirete a trovare la quadra delle alleanze?
«Il tema delle alleanze, purtroppo, diventa più importante di quello che si vuole fare. A me interessa l’unità di tutta la colazione di centrosinistra. E penso che per farlo dobbiamo uscire dal classico schema dei partiti della stessa area che si fanno la guerra tra di loro, invece di saldare insieme proposte utili e condivisibili dall’elettorato. Che non si appassiona alle prove di forza, ma alla capacità di risolvere i problemi. Gli stessi che ogni giorno affronto concretamente con cittadini, famiglie, amministratori, lavoratori, associazioni, sindacati.
Per questo, senza alcuna “supremazia” o “sottomissione”, continuo ad affermare le stesse cose di cinque anni fa, che l’alleanza con i 5 stelle è fondamentale. Ma non solo con loro. Con chi si riconosce su idee e programmi concreti. Come le famiglie di amici che si ritrovano a Natale, dove tutti vogliono davvero la riuscita della festa. Magari anche litigando, ma senza mai arrivare a far saltare la tavola, per il bene di tutti. Spero sia questa la metafora delle nostre future alleanze. Su punti chiari, da discutere con serenità e pragmatismo. E mi auguro che anche i 5 stelle la vedano così. Prima il bene e il futuro dei molisani, tutti noi siamo la grande famiglia dei progressisti. Perché mandare a casa il centrodestra di Donato Toma è la più grande urgenza, nessuna forza politica di centrosinistra, nessun movimento, nessuna associazione di persone molisane lo deve dimenticare. Posizioni personali, di partito, tutto questo è secondario. Dunque, massima partecipazione, massima chiarezza, massima condivisione e massima onestà».
Serve un metodo: come si farà ad indicare la leadership regionale del centrosinistra?
«A mio avviso, deve essere un metodo partecipato e trasparente. Uno strumento fra quelli che garantiscono la scelta con la gente, gli elettori, è quello delle primarie di coalizione. Anche per i 5 stelle, oltre che per noi, che le abbiamo nello Statuto nazionale, uno strumento fortemente partecipativo; e d’altronde la partecipazione non è nei principi basilari del Movimento? Perché rifiutarlo ora? Quali timori ci sono? Discutiamone insieme e troviamo “un metodo nel metodo” per ridurre le incertezze e le ritrosie di tutti. Ed è necessario anche farlo celermente. Io accelererei il confronto. Questa la mia idea. Ma mi rimetto al mio partito e con gli altri partiti, gruppi e al Movimento. Invito tutti però a fare una riflessione fondamentale. Le primarie servirebbero per recuperare passione e contatto con l’elettorato e alle persone per comprendere, fino in fondo, programmi e candidati. Ci aiuterebbero a farci capire a recuperare una connessione empatica. E quindi a convincere oltre che a vincere. Il nostro futuro, quello del Pd e del centrosinistra è tutto qui: tra gattopardismo doroteo e strada dei suoi fondatori. Se sceglieremo la seconda, ce la faremo!».
Il Partito democratico sta vivendo una dei momenti più difficili della sua storia. Quali sono secondo lei i motivi e come ne uscirete?
«Il Pd ha bisogno di un cambiamento. Questo, al di là del nome e del simbolo, che ci teniamo stretti, come è stato confermato anche in Direzione nazionale. Ed è evidente che nonostante le tante proposte e programmi di buon senso, i nostri contenuti non sono arrivati, non hanno scaldato, non hanno parlato al cuore delle cose e delle persone. Sono prevalse le paure e chi ha saputo meglio rappresentarle. Soprattutto in un momento difficilissimo come questo.
E noi non siamo più credibili da coloro – milioni di italiani – che hanno visto aumentare le disuguaglianze, senza che il nostro partito sia stato capace di creare un argine sociale per difendere i diritti dei più deboli. Si perde soprattutto al Sud, nelle periferie, fra le donne. Con la responsabilità che è di tutta l’attuale classe dirigente del Partito democratico, me compresa. Senza sconti, scuse, arrampicate sugli specchi.
E allora c’è bisogno di un cambiamento vero, radicale. Di un passaggio di testimone generazionale e di genere, che presuppone un passo indietro – convito e reale – degli attuali vertici. Che significa lasciare finalmente spazio e responsabilità a donne e uomini nuovi, ai giovani radicati sul territorio, come chiede uno dei tanti capaci, Stefano Buono, proprio sulle pagine di questo giornale qualche giorno fa.
Dobbiamo partire da questa considerazione. C’è una nuova e ottima generazione che legittimamente può parlare di futuro. Diamogli spazio! In questo modo ne beneficerà tutto il Pd. Utilizziamo la grande occasione di questa fase costituente per aprire, davvero, le porte del partito. Per rinnovare l’entusiasmo, voglia di mettersi al servizio.
Molti di loro sono già tra noi, donne e uomini unici per altruismo e dedizione. Negli organi di partito attuali, molti anche nella Segreteria e Direzione regionale, sul territorio, da Guglionesi a Montaquila, da Pietracatella ad Agnone, da Torella a Tufara. Diamogli fiducia. Soprattutto diamogli possibilità di azione!
Tocca a loro, non più a noi. Cento giovani per ricostruire il Partito democratico del Molise. Sono sicura che faranno bene, soprattutto se a loro fianco ci saranno persone di esperienza, pronti a supportarli. Senza ostacolarli, senza rivendicare per sé ruoli, dimostrando così amore e lealtà per il partito. Questo il mio auspicio e il mio impegno per rinnovare, davvero, il nostro partito fin dalle sue fondamenta.
Anche per questo è importante celebrare al più presto il congresso regionale del Pd, che prima parte e prima ci dà forza se lo interpretiamo come hanno indicato anche a Roma: una grande occasione non per prove muscolari tra il gruppo dirigente, ma per far entrare persone, gruppi, voglia di fare (la cosiddetta fase “della chiamata”). Idee ed entusiasmo. Io vorrei porte e finestre spalancate!».
In vista del congresso regionale, significa superare la contrapposizione Fanelli-Facciolla?
«Significa basta schemi di correnti, basta personalismi, basta guerre intestine. Questo il mio auspicio e la mia promessa. E fuori dalla logica della contesa “Fanelli-Facciolla” che ha stancato tutti, per prima me, e che nasconde un problema più grande: quello della mancanza di alternative, di idee. Invece il Pd ha alternative e ha idee. Soprattutto, anche in Molise ha una classe dirigente ampia, competente, radicata. E ha proposte. Sui diritti sociali e civili, sull’economia, sul lavoro. Il mio invito, a tutti i militanti o solo i simpatizzanti del Pd, è di cogliere questa grande opportunità del congresso per farlo».
Belle intenzioni, ma come si concretizzano per non restare parole al vento?
«A questo serve un congresso. Quello partito giovedì scorso e che si chiuderà a febbraio-marzo. Ma prima ancora immagino assemblee di discussione in tutto il Molise. A partire da quella regionale del Partito democratico, necessaria per confrontarci e comprendere come uscirne tutti insieme, più forti di prima. Non si deve aver paura di questa fase. Né di dirsi le verità. Che però non vanno forzate. Perché siamo tutti dentro al percorso di sconfitte e vittorie che si compiono. Quella attuale è una sconfitta chiara. Nascondere la polvere sotto il tappeto, difendere le singole posizioni, arroccarsi nel recito dei personalismi o delle autoassoluzioni, non serve a migliorare la nostra situazione e non servirà a farci tornare a vincere le elezioni».
Il ruolo di Micaela Fanelli alle imminenti regionali?
«Ci sono. Con la stessa determinazione con la quale ho lavorato in cinque anni di Consiglio regionale, lavorerò per il rinnovo del partito e per la vittoria del mio partito e del centrosinistra alle elezioni regionali».
l.c.

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