Nicola Messere, nel recente passato componente della segreteria del Pd regionale volto storico della famiglia dem molisana, non ha dubbi: dopo le elezioni del 25 settembre serve un cambio di passo, una nuova leardship. Il partito, aggiunge, deve anche uscire dal dualismo dannoso fra gli attuali segretario e capogruppo in Regione, Facciolla e Fanelli. «Dobbiamo innanzitutto includere, e non escludere, persone e intelligenze che vogliono impegnarsi. Il criterio non può essere la vicinanza al ‘capo’ o, peggio, la regola del silenzio per non disturbare il manovratore. Il voto delle politiche ha dimostrato che questo modo di agire è fallimentare», dice senza mezzi termini.
Quindi, Messere: il 25 avete perso anche in Molise.
«Abbiamo perso e di brutto, anche in Molise. Non c’è analisi contorta che tenga: a livello nazionale avevamo il 18,7%, abbiamo preso il 19%. Diciamo anche che non è un dramma, che forse ci voleva. L’opposizione ci farà bene, lo ha detto anche Letta alla direzione nazionale qualche giorno fa».
In campagna elettorale: mai Meloni al governo. Adesso che lei guiderà l’esecutivo dite che vi farà bene l’opposizione. Mi perdoni ma sembra un po’ una pezza a colore…
«Mi inquieta che governerà il partito che annovera tra i suoi sostenitori anche gruppi di estrema destra, la peggiore destra che ci poteva capitare. Ma non mi spaventa e mi sarei astenuto dal dire che c’è un rischio democratico in Italia, la nostra Repubblica ha strumenti e anticorpi adeguati. Il nostro problema ora è attrezzare un’opposizione seria e puntuale, tenendo in considerazione anche la grande astensione che si è registrata e indagandone i motivi. Non sarà semplice proprio perché abbiamo perso la mano a fare politica ma sono convinto che ci riusciremo e questo farà bene anche al campo dei progressisti, al Pd ma soprattutto al Paese».
Qual è l’errore più grande che il Pd ha commesso in questi anni?
«Siamo spariti dalla circolazione per rifugiarci nel ‘palazzo’. Parliamo di giovani e rappresentanza di genere solo come slogan. I giovani vogliono lavorare ed essere autonomi, artefici del loro futuro. Non hanno bisogno né di input né di spinte. Le donne vogliono un partito contendibile in cui misurarsi, non endorsement del capo bastone di turno. La deriva però viene da lontano. Abbiamo rincorso il leaderismo. Ai tempi di Berlusconi, le sezioni sono diventate circoli. Poi abbiamo scimmiottato i 5 stelle. Infine, quello che noi abbiamo definito senso di responsabilità – alleandoci praticamente con tutti o quasi e passando da “viva Monti” a “viva Draghi” senza chiederci se stessimo facendo gli interessi della parte più debole del Paese – è stato percepito come malattia di governismo. Nato per unire il cattolicesimo democratico, il socialismo e la tradizione comunista, il Pd è diventato solo un contenitore dove ognuno coltiva il suo orticello. Chi è nelle grazie del capo corrente ha possibilità di giocarsi le proprie carte. Chi no, invece, viene escluso. Senza dimenticare che abbiamo lasciato che altri si impadronissero delle battaglie della sinistra progressista».
Insomma, altro che mancato campo largo.
«Letta ha le sue responsabilità ma dopo la caduta del governo Draghi si è tenuta una direzione nazionale con il coinvolgimento dei segretari regionali e in quella occasione tutti hanno approvato la decisone di rompere con i 5S e tentare altre strade, affossando definitivamente la prospettiva del campo largo. Ma, detto questo, se prima il Pd non decide chi vuole rappresentare e come è surreale pensare alle alleanze. La politica è rappresentanza non rappresentazione scenografica degli eventi».
Cosa fare? Rinnovare la classe dirigente, seguendo il suo ragionamento, mi pare il minimo.
«Intanto, affidarsi a chi vive la politica come servizio per la propria comunità e non come ‘affare’ o ‘utilità’. Abbiamo in molte parti d’Italia un partito, ingessato, frustrato, a volte familistico. Bisognava mantenere la barra dritta su alcuni valori universali della politica, invece, con la scusa che il mondo stava cambiando abbiamo buttato via con l’acqua sporca anche il bambino. Ora non si tratta di trovare un altro “salvatore della patria”, o meglio non è solo questo. Il Pd ha due ex segretari che hanno fondato un altro partito, un segretario che si è dimesso di colpo lasciando il partito in braghe di tela. Insomma, non basta più una messa punto, quando il motore è fuso cambiarlo costa più che comprare una macchina nuova. Dobbiamo tornare a un modello di partito strutturato e non fluido, certo con innesti innovativi, un partito che celebri veramente le primarie. Che discuta anche animatamente su temi concreti e non in base alla simpatia o al tifo per questo o quel dirigente. Un partito aperto alla società civile, non però un taxi per costruire le fortune di qualcuno. E poi lasciamo l’indispensabile ai social e torniamo nelle piazze, ascoltiamo le persone, interessiamoci dei loro problemi perché solo così potremo rappresentarle».
Un congresso per tesi, come una volta?
«Esatto. Confrontiamoci su diverse tesi, idee, su chi dobbiamo rappresentare e come, con che forma partito. L’ultimo congresso si svolse quando era ministro degli Interni Salvini, poi il Conte 2, la pandemia, a seguire il Pnrr, la guerra, insomma un’era politica fa. il prossimo non potrà non tener conto anche della destabilizzazione geopolitica che stiamo vivendo, della crisi energetica e della conseguente crisi economica e sociale».
Del Molise però abbiamo parlato poco. A parte il mal comune mezzo gaudio di una crisi interna che lei ritrova anche qui.
«E le pare poco? Anche in Molise il Pd non ha avuto il coraggio né la capacità di essere inclusivo, autorevole e affidabile. So che mi si dirà che sono stato uno dei sostenitori della segreteria Facciolla, anzi, che ne ho fatto parte fino a qualche mese fa».
Appunto.
«Ma esprimere sempre il proprio pensiero, con pacatezza, educazione, senza invettive dovrebbe essere lo stile e il dovere di ognuno che decide volontariamente di dare il proprio contributo ad un partito politico. Anche in Molise dobbiamo voltare pagina, non c’è dubbio. Abbandonare quindi la logica della fedeltà a questo o quel dirigente. Non ci si può scontrare, né si possono etichettare i militanti e gli eletti nelle istituzioni solo in base al dualismo fra l’attuale segretario e l’attuale capogruppo in Regione. È irrispettoso e non descrive la realtà. In primavera ci saranno le regionali e io credo che il Pd abbia ancora tutte le carte in regola per ritrovare la strada e riconquistare tanti elettori. Ma questo, ovviamente, accadrà solo se ci sarà un nuovo corso».
Le regionali coincidono temporalmente con la fase finale del vostro congresso nazionale. Non vorrà che si tenga un congresso regionale mentre sarete alle prese con alleanze e liste…
«Sicuramente questo è un problema, ma lo sarà ancora di più non portare un partito unito, autorevole e affidabile a quella scadenza».
Quindi?
«Quindi si convochi l’assemblea che, oltre a tracciare una adeguata analisi del voto, potrà indire subito il congresso o costituire un coordinamento unitario che accompagni questa delicata fase del Pd molisano».

ritai

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