Non fa sconti a nessuno, il sindaco di Campobasso. Nemmeno al Movimento. Chiede ai parlamentari eletti in regione il 25 settembre, tutti di centrodestra come nel 2018 erano tutti 5s, di tener fede alle promesse elettorali sull’azzeramento del debito sanitario e l’aumento della dotazione destinata al Molise.
Una presa di posizione forte, quella di Roberto Gravina. Inedita e in contrasto con quella della galassia pentastellata che un mese fa, in piena propaganda, ha rilanciato la posizione da sempre espressa dal coordinatore Antonio Federico: i soldi ci sono, ma vengono spesi male e «bisogna ripartire da qui, da un’attenta gestione delle risorse per risollevare il sistema sanitario regionale».
Il primo cittadino del capoluogo non la pensa esattamente così e lo dice nella lettera che ha indirizzato, ieri in occasione dell’avvio della XIX legislatura, ai deputati Cesa e Lancellotta e ai senatori Lotito e Della Porta.
«Sarebbe troppo facile, almeno lo sarebbe per me, commentare la bozza di Piano operativo sanitario a trazione Toma bollandola come inadeguata, lesiva degli interessi dei molisani – meno dei campobassani, si direbbe – insufficiente per le emergenze-urgenze e poco condivisa con i territori. Altrettanto facile sarebbe sentirsi meno “colpiti”, come se io dovessi limitarmi a difendere il piccolo orticello – questa volta sanitario – della città di Campobasso e quindi analizzare il documento come meno impattante sul territorio cittadino. Credo, al contrario, che complice anche il nuovo Parlamento e con esso, voi neo eletti, si possa – e si debba – avviare una nuova stagione, partendo dagli errori del passato, compresi quelli della mia parte politica, per dare una speranza alle nostre comunità, nessuna esclusa», così l’incipit della riflessione di Gravina.
Che prosegue: «Da sindaco ho evitato accuratamente di prendere parte all’ultima campagna elettorale, ma ho ascoltato, con interesse, le proposte, anche le vostre che più e più volte avete proposto di eliminare il debito sanitario attraverso un decreto Molise. Visto il risultato, ora dovete cercare in tutti i modi di mantenere questo impegno, impegno per il quale anche dalla città capoluogo potrete avere tutto l’appoggio possibile. Ma spero sia chiaro a tutti che l’azzeramento del debito della sanità regionale molisana è solo un piccolo tassello. Senza un intervento strutturale sulla finanza del sistema sanitario, il debito, appena azzerato, si ripresenterebbe pari pari un minuto dopo dalla sua eliminazione contabile. Un intervento strutturale, però, che non può più passare sulle “strutture fisiche”, bensì su quelle finanziarie ovvero aumentare il budget a disposizione affinché la sciagurata e continuativa politica di contenimento della spesa – che in sanità non dovrebbe mai trovare applicazione indiscriminata – non continui a limitare l’offerta sanitaria sul territorio. Lo dimostrano gli interventi che negli ultimi anni – mi limito agli ultimi dieci – non solo non hanno eliminato il debito, ma hanno anche fortemente limitato la tutela della salute pesando ancora e molto sulle tasche dei cittadini tra ticket ordinari e straordinari, addizionali Irap e Irpef al massimo e servizi sempre meno disponibili, con liste di attesa interminabili. In buona sostanza, un fallimento totale, in una regione che per di più ha infrastrutture viarie che tutto garantiscono fuorché tempi di percorrenza ottimali, che in sanità possono significare “vita”». Parole chiare, senza bisogno di interpretazioni quelle del sindaco di Campobasso.
C’è bisogno, a suo parere, di «un intervento legislativo di ampia portata, che non si occupi solo di debito ma di nuovi budget che passino indispensabilmente per un più ampio quadro di rilancio dell’economia della nostra regione e del sud in generale. La nostra sanità, infatti, si avvicina sempre di più a quella che tradizionalmente viene bollata per essere “mala” e molto semplicisticamente, questo risultato è indissolubilmente legato alla ricchezza interna prodotta, il Pil regionale e meridionale. Ci affatichiamo a difendere la sanità ma non difendiamo il lavoro e con esso la ricchezza che porta. Come se la sanità regionale non dipendesse dal gettito dell’Irap e dell’Irpef; come se l’Irap, (l’Irpef e non solo) non dipendesse dal lavoro e dalla ricchezza prodotta; come se il lavoro e la ricchezza non fossero strettamente collegati alla demografia e alla emigrazione (quella nazionale verso il nord, intendo). Si parla di aree interne a rischio spopolamento, quando il Molise è praticamente tutta “un’area interna”. E con questo trend, con un gettito di imposte sempre in diminuzione, come si può sostenere la spesa sanitaria? E come si può garantire la qualità?».
Un territorio che non dà occasioni di lavoro, aggiunge, perde persone, ricchezza e servizi, a cominciare dalla sanità, dove i numeri incidono anche sulla qualità del servizio: migliora all’aumentare dei casi e peggiora quando diminuiscono. Quindi, ancora Gravina, «senza uno slancio forte della politica nazionale e regionale, non potremo far altro che commentare, anno dopo anno, un peggioramento della situazione, con buona pace dei commissari, siano essi di destra, sinistra o centro; di Campobasso, Roma o Milano. Questo mi sento di dirvi: parlamentari molisani, impegnatevi a parlare di sanità e ad agire puntando tutto sullo sviluppo ovvero sul lavoro. Siate lobby sana a tutela di un sud morente e di una regione sempre meno popolosa e sempre più povera economicamente, incapace di pianificare e spendere le risorse provenienti dall’Europa. Una spesa pubblica lenta e improduttiva, priva di uno slancio di prospettiva e attenta solo a garantire piccola visibilità all’amministratore locale di turno. Su questi temi, quello del lavoro e dello sviluppo, avrete sempre la disponibilità e la collaborazione istituzionale che occorrerà, ma fatelo con tutte le forze possibili. Ne va della sopravvivenza anche e soprattutto del sistema, quello sanitario compreso. E ricordiamoci tutti – conclude – che fino a quando possiamo avere il tempo di “scegliere” dove curarci, ognuno cerca e trova la struttura migliore, anche emigrando in altre regioni, ma quando accade una emergenza e non abbiamo il tempo di scegliere, siamo tutti uguali: ricchi e poveri, dottori e operai, tutti appesi allo stesso filo, senza distinzioni, così come la Costituzione ci vorrebbe “eguali”».