Giovedì, salvo intoppi, il Capo dello Stato avvierà le consultazioni. Giorgia Meloni potrebbe salire al Colle già venerdì, al più tardi sabato mattina, per ricevere l’incarico di formare il governo.
Quotidiani e tv nazionali prevedono tempi brevissimi: il nuovo esecutivo, per la prima volta nella storia della Repubblica guidato da una donna, potrebbe giurare già domenica mattina.
D’altronde le condizioni determinate dalla crisi energetica e dalla speculazione non consentono ulteriori dilazioni. Al Paese serve un governo che nel giro di pochissimi giorni sottragga dalle spalle degli utenti il peso delle forniture di luce e gas.
Formato il governo, nominati viceministri e sottosegretari, stabiliti gli uffici di presidenza di Camera e Senato, i vertici delle commissioni, qualche mammasantissima romano volgerà lo sguardo verso il Molise: tanti i temi di cui discutere. A partire dall’esito delle elezioni.
Il centrodestra ha vinto le politiche. Ma la coalizione è dilaniata. Non esiste un leader “riconosciuto”; Forza Italia (Tartaglione e Cavaliere) è stata tradita dai suoi stessi colonnelli; Fratelli d’Italia è alle prese con lo scontro interno Iorio (e Di Sandro) – Pallante; i capibastone dei civici regionali cercano un porto sicuro dove approdare per poi tentare la rielezione a Palazzo D’Aimmo (senza la norma della surroga è difficile trovare candidati validi e in grado di far superare alla lista il nuovo sbarramento del 5%).
In tutto ciò Toma dovrà governare altri sei/sette mesi con la consapevolezza che almeno tre o quattro consiglieri della sua maggioranza vorrebbero mandarlo a casa anzitempo. E se non lo fanno è solo perché dal centrodestra romano – ma era prevedibile – non hanno dato l’ok: un presidente sfiduciato è comunque una noia da gestire.
Nomi, restando nell’ambito della coalizione di governo, ne circolano diversi: dalla segretaria della Uil, Tecla Boccardo, all’ex assessore regionale Michele Scasserra (attuale responsabile unico del Cis Molise); passando per il magistrato isernino Mario Di Nezza.
All’ex presidente Iorio nemmeno dispiacerebbe riprovarci, così come lo stesso Toma non ha mai nascosto – e nelle ultime ore ha pure rilanciato – le sue ambizioni.
Infine, ma non in ordine di importanza le fibrillazioni in Forza Italia, quelle pre elettorali, per intenderci. La ricucitura tra Meloni e Berlusconi è stata accolta con soddisfazione ma non risolve il malcontento generato dalla gestione delle candidature, soprattutto al Sud dove l’eurodeputato Aldo Patriciello gode di fama e notorietà. Ovvero, dove raccoglie i numerosissimi voti necessari per l’elezione a Bruxelles. Se Patriciello dovesse lasciare il partito, ci sarebbero decine di amministratori pronti a seguirlo, anche in Molise.
In attesa che il quadro romano sia più nitido (non vanno tuttavia confuse le strategie Pd-5 stelle per gli uffici parlamentari con le intese locali), il Movimento di Federico, Greco e Gravina sembra orientato ad allargare il perimetro. Ma fino a che punto? Per ora è solo una indiscrezione o forse una pia intenzione dei grillini più radicali – e per come cambiano velocemente le cose in politica, domani potrebbe accadere l’esatto contrario –: sembrerebbe che il Movimento spinga per aprire alla società civile, ai movimenti civici di area, ai partiti di sinistra fatta però eccezione per il Pd. L’ultima parola spetterà a Conte e, almeno così riferiscono fonti pentastellate, l’ex presidente del Consiglio potrebbe tracciare presto la strada, «tenendo conto che il Pd in Molise oggi è retto da Vittorino Facciolla, che fino a cinque anni fa è stato assessore plenipotenziario di Paola di Laura Frattura».
La confusione è tanta anche nel centrosinistra, nel Partito democratico in particolare. Al di là degli stracci che continuano a volare tra il segretario Facciolla e la capogruppo Fanelli, dopo la sconfitta alle politiche in Molise la leadership è stata messa seriamente in discussione.
Fonti dem riferiscono che il segretario sarebbe intenzionato a dimettersi, convocare il congresso e farsi rieleggere. Ma sembrerebbe che dal Nazareno avrebbero già preso le contromisure: un “supervisore” romano per traghettare il partito alle regionali.
Insomma, quadro complicato e poche certezze in tutti gli schieramenti.
La prossima legislatura, considerando la velocità con cui la regione si è spopolata negli ultimi anni, potrebbe essere l’ultima, prima che il governo decida d’ufficio l’accorpamento con uno dei territori limitrofi (se non lo smembramento, come avrebbe voluto Morassut del Pd).
Serve un governo forte, credibile e soprattutto autorevole.
Cambiare il capobanda senza rinnovare l’orchestra non è certezza di musica nuova.
Puntare oggi il dito contro Toma è fin troppo semplice: nell’Aula di Palazzo D’Aimmo ci sono consiglieri e assessori che governano (?) da decenni.
Luca Colella