Se tornasse indietro, Paolo Frattura chiamerebbe in giunta – la sua prima giunta – Michele Scasserra e Massimo Romano. «È una cosa che non ho mai detto, l’errore più grave che ho commesso in partenza», ha rivelato ieri sera ospite di Fuoco incrociato su Teleregione.
Strenui avversari per anni, dopo la vittoria del centrosinistra nel 2013, l’ex governatore oggi non ha remore ad ammettere che con Romano poteva andare diversamente. Lo apostrofava col soprannome “sapientino”. «Ma perché voleva occuparsi di tutto…». Se invece si fosse focalizzato sui temi che in Consiglio dall’opposizione aveva seguito sarebbe stata tutt’altra storia. La dichiarazione, in piena campagna per le regionali, farà di sicuro rumore. Frattura in pratica ha riscritto ex post la composizione del suo primo esecutivo, confermando Pierpaolo Nagni e Vittorino Facciolla, ma non Massimiliano Scarabeo (allora Pd e poi passato a Fratelli d’Italia) e Michele Petraroia. Convinto che «se fossimo partiti in giunta con due figure diverse e cioè Michele Scasserra, che doveva garantire continuità con l’ottima gestione che lo aveva visto alla guida dell’assessorato (alle Attività produttive, ndr) con la presidenza Iorio, e Massimo Romano con il quale avremmo superato quella contrapposizione sciocca perché penso che quando due persone intelligenti si beccano sono sciocche entrambe, quella giunta con Pierpaolo e Vittorino sarebbe stata più operativa ed esecutiva».
La puntata – in replica oggi alle 16 su Teleregione e disponibile in streaming sul sito dell’emittente – era incentrata principalmente sulla sanità (uno degli argomenti divisivi fra lui e Romano). Tirato in ballo da ultimo dall’attuale presidente-commissario Donato Toma sul motivo per cui non pose il veto in Conferenza delle Regioni sul decreto Balduzzi (per Toma bisognava chiedere una deroga per avere il Dea di II livello), Frattura ha ripercorso quella e altre vicende legate al suo programma operativo straordinario.
«Il decreto Balduzzi, soprattutto quando parla di standardizzazione dell’offerta sanitaria, è evidente che è la negazione di ogni opportunità per la nostra regione.
Opporre il veto ed essere il solo significava giocare come don Chisciotte provava a fare contro i mulini a vento. Allora provai ad alzare il tiro dicendo: guardate il Balduzzi prevede un unico ospedale regionale, vi chiedo una deroga seria che consiste nel creare l’unico ospedale regionale con tre riferimenti territoriali: Cardarelli, San Timoteo e Veneziale.
Vale a dire avere non un unico pronto soccorso a Campobasso ma tre e tre reparti di medicina, ortopedia, chirurgia. Io ho ottenuto per il Molise, grazie al supporto delle altre Regioni, questo disegno di sanità ospedaliera – ha rivendicato l’ex governatore – con il riconoscimento, giustamente condizionato all’accordo di confine con l’Abruzzo che vorrei sapere a che punto è visto che eravamo arrivati alla definizione, dell’ospedale di area disagiata di Agnone. La mia assenza (alla Conferenza, ndr) fu un fatto di coerenza. Rinunciai alla mia posizione negativa per l’adozione del decreto Balduzzi a patto e condizioni che la deroga mi venisse concessa sulla base delle nostre opportunità di offerta sanitaria. Tutte le Regioni – ha proseguito – aiutarono le casse della sanità molisana con un contributo a perdere in modo che, azzerando il disavanzo, abbiamo potuto sbloccare il turnover». Quindi, Roma voleva un solo ospedale. E lui avrebbe firmato un piano operativo con quella decisione? «Guardi che io ero commissario dal 2013 e il nostro piano fu approvato a finire 2015. Quindi, prima di ottenere l’approvazione… Potete leggere le ramazzate che ho preso dal tavolo tecnico, mi maltrattavano come se fosse arrivato l’accattone di turno con il libro dei sogni. Però, dimostrando con i fatti e con il raggiungimento degli obiettivi e degli impegni assunti, siamo arrivati a ribaltare la situazione».