A 45 giorni dal voto politico, il Pd cala ancora nei sondaggi. Stretto nella morsa tra 5 stelle e Terzo polo, non riesce a risollevarsi dalla batosta elettorale e a ritrovare la forza per tornare ad essere un partito vivace e riformista. Insomma per dirla come alcuni illustri esponenti dem «il Pd non fa più il Pd». Un momento non facile per il partito, che l’ex assessore regionale Carlo Veneziale, componente dell’assemblea nazionale «ancora per qualche giorno», non nasconde ma che declina in una chiave decisamente fisiologica all’indomani di una sconfitta. La ripartenza ci sarà con il congresso.
Nel frattempo però vediamo un Pd a rimorchio dei possibili alleati e non una forza che traina gli altri così come è sempre stato in passato.
«Dell’abbattimento post sconfitta non sono particolarmente preoccupato anche perché c’è un momento in cui ti devi riprendere, poi è chiaro che se da qual momento in poi continui a perdere allora sì che sarebbe grave. Sarebbe stato preoccupante se non fosse stato già deciso un momento di rilancio. Così non è stato. Letta si è dimesso la mattina dopo il voto, ha fissato il congresso, in queste ore si parla addirittura di anticiparlo perché probabilmente si è reso conto che forse un’accelerata non sarebbe male. Fatto il congresso il prossimo appuntamento elettorale ci sarà nel 2024 con le Europee, quindi ci sarà un anno e mezzo per dare al nuovo segretario e alla nuova dirigenza la possibilità di recuperare quello che abbiamo perso fino ad oggi».
Lei crede che con il congresso ci sarà la ripartenza. E allora perché non farlo pure in Molise dove si vota prima?
«Letta ha dato indicazioni chiare dicendo che il congresso locale ci sarà dopo le regionali. Celebrarlo prima sarebbe stato molto complicato perché significava fare contemporaneamente congresso nazionale, congresso regionale e organizzare le liste. O lo si faceva presto, dando anche la possibilità al nuovo segretario di condurre la trattativa o spostarlo, scelta corretta secondo me per evitare di ritrovarti con un segretario eletto da 14 giorni al tavolo delle trattative con i 5 stelle. Diventava davvero complicato. Va bene così direi, l’importante è che si faccia il congresso nazionale per ridare slancio e nuova verve al partito».
L’ultimo sondaggio vede appaiati 5 stelle e Pd al 16,9%. Il rischio a questo punto è di non essere più il baricentro di una coalizione progressista e di essere rimpiazzati dal Movimento.
«Una paura che io non ho, anzi. Ma qui va fatta una valutazione: è chiaro che io mi propongo come baricentro e mi propongo come perno, ma questo non vuol dire che nel rapporto con gli avversari li guardo dall’alto verso in basso. La capacità di essere baricentro e perno la danno certo i numeri, la capacità organizzativa, la proposta programmatica, ma la capacità di essere riconosciuti perno nasce anche dal fatto che tu nei confronti degli alleati non dimostri prepotenza ed arroganza, anzi dimostri capacità di far sentire tutti partecipi allo stesso livello. La definirei una sorta di leadership partecipata».
Parliamo del perimetro della coalizione, un tema che riempie le cronache politiche da un po’ in vista delle regionali.
«Il mio perimetro ideale vede dentro Pd con Leu, 5 stelle e movimenti civici. Non vedrei male neanche qualche lista civica organizzata dagli amministratori di centrosinistra che dia il suo contributo, potrebbe essere un esperimento interessante. Questo il campo, poi ci sono le regole e cioè che tutti abbiamo lo stesso diritto e pari dignità di esprimere la propria forza all’interno della coalizione. Certo, se l’uno vuole schiacciare l’altro non funziona. Nessuno, Pd compreso, deve immaginare di essere prepotente nei confronti di un altro, ci vuole assolutamente pari dignità, pari diritto di parola, pari diritto di espressione».
Con questi presupposti l’alleanza tra Pd e 5 stelle sembra cosa fatta.
«Il Pd e i 5 stelle non sono due perfetti sconosciuti, c’è stata una comunione di visioni e di operatività che si è interrotta e va ripresa. A livello locale entrambi si propongono come alternativa al governo Toma e questo già dovrebbe bastare per andare insieme, direi un collante quasi inattaccabile. Se poi aggiungiamo anche una legge elettorale che ti impone di farlo e un bel pezzo di programma condivisibile… Poi ci saranno dei distinguo, ma guardi che sta succedendo tra Forza Italia e Fratelli d’Italia, altro che distinguo. Secondo me i programmi sono molto più sovrapponibili quelli di Pd e 5 stelle che quelli di Forza Italia e Fratelli d’Italia a livello nazionale.
Trovata la quadra, c’è da indicare il candidato presidente della Regione.
Quando ci sono più partiti con tante personalità è chiaro che alla fine ci sia una rosa ampia di nomi. Credo che le primarie di coalizione ti consentono di tenere insieme tutti, permettendo a chiunque che partecipa di sapere che ha concorso con le proprie forze».
Si farà in tempo per organizzarle?
«Certo, si vota a giugno. Tempo ce n’è quanto ne vogliamo. I 60 giorni dalle ultime regionali scadono a fine giugno, si tirerà avanti fino all’ultima domenica utile perché fa comodo anche al centrodestra».
Prima che dagli elettori, alle politiche il Pd è stato penalizzato dal rosatellum. Si corre il medesimo rischio con il sistema elettorale regionale?
«Diciamo subito che la legge elettorale regionale premia assolutamente chi riesce a fare l’alleanza più ampia. Naturalmente devi trovare il punto di caduta, direbbe D’Alema. Il punto di equilibrio tra un’alleanza ampia e una condivisione di visioni. Però con l’elezione diretta del presidente, senza doppio turno e senza voto disgiunto non v’è dubbio che la strada da seguire è quella. Se c’è una lezione che ci hanno lasciato le politiche è proprio questa, e ce l’hanno lasciata scritta alla lavagna perché venga compresa anche da coloro che non volevano capire: se non ti unisci prima è quasi impossibile vincere dopo».
C’è un terzo scenario per il quale si lavora sottotraccia: centrodestra senza una parte dei moderati, il Pd con il centro, i 5 stelle con i civici e parte della sinistra.
«Uno scenario possibile ma figlio di una mancata intesa Pd-5 stelle. Non si trova l’accordo e ognuno dei due trova un altro pezzo da mettere in coalizione. Uno scenario che secondo me parte anche da un presupposto sbagliato e non così realistico. E mi spiego. Chi l’ha detto che i civici, in caso di mancata sintesi tra dem e pentastellati sceglierebbero i 5 stelle e non il Pd? Non lo darei così per scontato».
C’è stato già un incontro.
«Ma questo è solo un pezzettino della strada che porterebbe ad una eventuale coalizione tra civici e 5 stelle. Hanno fatto un incontro come se ne fanno migliaia in politica, tra l’altro per loro stessa dichiarazione un ‘primo’ incontro che forse non ha sancito una unione tra loro. Hanno fatto un incontro è va benissimo, perché prima si inizia a verificare le possibilità e le ragioni dello stare insieme e prima si capisce se questo è possibile o no. E io dico che va bene saperlo prima anche se dovesse essere un no».
Lei è stato assessore della giunta Frattura a cui è stato addebitata un peccato originale: l’inizio della sfascio della sanità.
«Fermo restando che il decreto Balduzzi è lo stesso, io credo che tra quello che ha lasciato Paolo e quello che ci fa trovare Toma ci sia un abisso. Prendiamo l’ospedale di Isernia: Psichiatria c’era, Risonanza magnetica c’era, l’unità coronarica funzionava. Io guardo i fatti. Ora si parla del decreto Molise, aspettiamo allora il decreto Molise».
alessandra longano