Il presidente Donato Toma, la sua attuale giunta e l’ex assessore Michele Marone sono sono indagati per abuso d’ufficio in concorso. Gli stessi reati vengono contestati dal sostituto procuratore della Repubblica di Campobasso, Viviana Di Palma, all’ex consigliere regionale Nico Romagnuolo.
Stando alle ipotesi formulate dall’accusa, Romagnuolo, che fu costretto (insieme a Paola Matteo, Massimiliano Scarabeo e Antonio Tedeschi) a lasciare Palazzo D’Aimmo per effetto della revoca della norma sulla surroga, non poteva assumere l’incarico di commissario del nucleo industriale di Campobasso-Bojano, che invece la giunta gli conferì, nonostante non fossero trascorsi due anni (del cosiddetto “raffreddamento”), periodo che deve necessariamente intercorrere tra la cessazione della carica di componente del Consiglio della Regione e il conferimento di un incarico di amministratore di un ente regionale.
I capi di accusa sono due e si riferiscono a due periodi diversi: a quando Romagnuolo fu nominato e alla successiva proroga dell’incarico. Tra la nomina e la proroga Toma aveva cambiato la giunta, sostituendo Michele Marone con Filomena Calenda.
Oltre allo stesso presidente, risultano quindi indagati Vincenzo Cotugno, Nicola Cavaliere, Quintino Pallante, Vincenzo Niro, Michele Marone, Filomena Calenda e Nico Eugenio Romagnuolo. Tutta la giunta per aver designato Romagnuolo quale commissario straordinario del Consorzio per lo sviluppo industriale di Campobasso-Bojano; il presidente Toma per averlo nominato – su indicazione della giunta – con proprio decreto.
Secondo le contestazioni mosse dalla Procura, che nelle scorse ore ha emesso l’avviso di conclusione indagini e il contestuale avviso di garanzia, il 18 settembre 2020 la giunta regionale all’unanimità designò Romagnuolo per l’incarico e alcuni giorni più tardi, il 29 settembre, quest’ultimo fu nominato con decreto dal presidente Toma. Tra marzo e aprile dell’anno successivo poi, il governatore e la giunta – intanto modificata con l’ingresso di Fillomena Calenda al posto di Michele Marone – prorogarono l’incarico per altri sei mesi. Per la Procura la nomina è avvenuta violando la legge in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati di controllo pubblico perché, come detto, non fu rispettato il periodo di due anni che deve intercorrere tra la cessazione di una carica di componente della giunta o del Consiglio regionale e il conferimento di un incarico di amministratore di ente pubblico di livello regionale: Romagnuolo era stato consigliere regionale supplente tra il 2018 e il 2020. Sempre secondo la Procura, la nomina provocò un ingiusto vantaggio patrimoniale a Romagnuolo consistito nell’emolumento previsto per lo svolgimento dell’incarico e arrecò inoltre un ingiusto danno ad altri perché impossibilitati a concorrere per la nomina pur avendone i requisiti.
La vicenda era già finita sotto i riflettori della cronaca per via di un pronunciamento dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), a cui si erano rivolti i consiglieri regionali del Movimento 5 stelle. L’incarico, sancì l’Anac il 27 maggio del 2021, è nullo. Perché come prevede il decreto 39 del 2013, il famoso decreto Monti, Romagnuolo era “inconferibile”.
A dare notizia della pronuncia dell’Anac furono i portavoce pentastellati di Palazzo D’Aimmo.
«Dal 2018 siamo stati umiliati sulle nomine. Spesso hanno aspettato il decorso del termine per farle in Consiglio – affermarono Greco e i “suoi” – per attivare i poteri sostitutivi della giunta e del presidente del Consiglio». Greco ricordò anche di aver portato la questione in Aula, con la richiesta a Toma di rivedere e annullare la decisione: «Ci rispose che non capivamo nulla».
L’Anac chiarì che il Nucleo è ente sub regionale, su cui Palazzo Vitale ha poteri di controllo e di nomina del commissario. Alla sua guida un ex consigliere solo da cinque mesi non poteva andare.
Gli indagati hanno ora 20 giorni di tempo per presentare memorie difensive o per chiedere di essere sentiti.
TOMA: SONO TRANQUILLO. «La giunta è tranquilla, siamo tutti tranquilli, non è stata una delibera politica. Stiamo già chiarendo tutto alla Procura, da parte nostra c’è la massima disponibilità a fornire i chiarimenti necessari. Prima di fare la nomina in questione abbiamo demandato alla struttura legale della Regione tutti gli accertamenti del caso per vedere se c’era inconferibilità o incompatibilità e abbiamo ricevuto tutti i pareri di legittimità».
GRECO: DEVONO ANDARE A CASA. «Questa conclusione delle indagini arriva dopo un esposto che è stato sottoscritto da me. La circostanza particolare è che misi in guardia la maggioranza in Consiglio chiedendo a Toma di annullare gli atti in questione perché contrari alla legge sulle incompatibilità e sulle inconferibilità, ma il presidente tirò dritto. A quanto pare ora tutti i nodi stanno arrivando al pettine: quella persona non poteva essere nominata secondo le leggi dello Stato. Aspettiamo la conclusione della vicenda giudiziaria, confidiamo nella Giustizia che ha il compito di fare luce sull’intera vicenda, ma chiaramente per Toma non c’è più spazio, queste persone devono andare a casa». ppm