In giro si vedono già le gigantografie di chi ambisce a sedere tra gli scranni riservai ai prossimi 20 inquilini di Palazzo D’Aimmo. Segno tangibile che è partita la macchina della propaganda in una campagna elettorale molto lunga che si concluderà in piena estate. Ci sono ancora da consolidare le alleanze, se non addirittura da costruire, comporre le liste, rassicurare i cavalli di razza e convincere i portatori d’acqua. Si vota il 25 e 26 giugno, un mese prima vanno depositati simboli e candidature, ma dall’8 marzo il Consiglio regionale chiuderà i battenti per almeno sei mesi. Se ne riparlerà ad agosto o molto più probabilmente a settembre. Un iter procedurale non proprio chiaro nemmeno agli addetti ai lavori. Ma su questo dirada le nubi il presidente del Consiglio regionale Salvatore Micone.
Presidente da quando scatta l’ordinaria amministrazione?
«Dal quarantaseiesimo giorno antecedente alla scadenza dei cinque anni, termine di legislatura sancito dall’articolo 5 della legge nazionale 165 del 2004. Nel nostro caso parliamo del prossimo 22 aprile perché il 22 aprile 2018 si è votato. L’indicazione di questa data serve al Consiglio che deve conformarsi alla disciplina del depotenziamento così come stabilito dall’articolo 31 comma 1 dello statuto regionale. Quindi dall’8 marzo si limitano i poteri consiliari ai soli affari urgenti e indifferibili».
In altre parole cosa si potrà fare e cosa no.
«Dall’8 marzo si entra nella cosiddetta ordinaria amministrazione, il che significa che il consiglio ma anche gli altri organi (commissioni e ufficio di presidenza) non possono deliberare provvedimenti che superano questo limite. Tipo gli atti di programmazione che vanno in una ottica di favore verso il territorio, per esempio non è urgente il piano dei trasporti che si può fare a luglio o a settembre. Non sono urgenti i bandi. Di fronte ad una calamità naturale è evidente che bisogna intervenire, e quello rappresenterebbe un atto d’urgenza».
La Regione fino al 30 aprile è in esercizio provvisorio. Il bilancio rientra negli affari urgenti e indifferibili?
«Certo, perchè senza bilancio si blocca tutto. Intanto ho convocato per la prossima settimana la conferenza dei capigruppo che dovrà decidere i lavori del consiglio per questi ultimi dieci giorni».
La legislatura volge al termine ed è tempo di bilanci anche individuali. Presidente, nel suo consuntivo più luci o più ombre? C’è un provvedimento di cui va particolarmente fiero?
«Di certo in questi cinque anni il consiglio avrebbe dovuto legiferare di più e la giunta sarebbe dovuta intervenire con più incisività sui piani e sui regolamenti. Anche le commissioni avrebbero potuto lavorare con maggiore celerità, ma sull’attività, a mio parere, ha pesato la riduzione del numero dei consiglieri e quindi la poca partecipazione che ha rallentato molto il cammino. Nonostante tutto, i vari provvedimenti deliberati dalle commissioni sono stati portati avanti dal consiglio ed oggi non ci sono atti in giacenza. Per via del commissariamento, al consiglio è stata negata la possibilità di intervenire sulla programmazione in materia sanitaria. Ma in più di un’occasione l’assise ha inciso sulla riduzione dei costi della politica con i bilanci regionali, intervenendo sui vitalizi ed eliminando le surroghe, aspetti sui quali l’assemblea – senza colori o appartenenze – ha potuto dare un segnale molto importate e da non sottovalutare. Ma rispondendo alla sua domanda forse sì, c’è un atto che mi rende orgoglioso: in piena emergenza Covid siamo stati i primi ad attivare i consigli da remoto e l’abbiamo potuto fare con una modifica al regolamento interno che non veniva toccato dal 1985. In questo modo non abbiamo mai fermato i lavori al contrario di altre regioni dove la sospensione è durata anche mesi. Il nostro sistema è stato utilizzato poi in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica. E questo, mi permetta di dirlo, è per me è un motivo di vanto e di orgoglio sicuramente».
La data delle regionali in piena estate ha destato reazioni direi piuttosto tiepide in Consiglio. Forse la politica avrebbe potuto, con maggiore insistenza, suggerire a Toma una election day. Chiamare gli elettori, sia pure in soli 15 comuni, in due momenti così ravvicinati, non si rischia di alimentare un astensionismo già di per sé preoccupante?
«C’è un aspetto che ho rivendicato e criticato in più occasioni, e cioè il mancato coinvolgimento del consiglio regionale, dei gruppi consiliari e anche dei partiti in determinazioni e decisioni importati assunte in questa legislatura. L’ho fatto in occasione del Piano sanitario regionale, tagliato fuori dal commissariamento certo, ma il rispetto istituzionale avrebbe voluto che lo si portasse in consiglio e che si ascoltasse il territorio. E di questi esempi potrei farne tanti. La stessa considerazione faccio sulla data delle elezioni. Non si è avuto il garbo di ascoltare i partiti, non si è avuto il garbo di ascoltare i gruppi consiliari. Il presidente Toma – al quale, purtroppo, lo statuto attribuisce la facoltà di prendere questa decisione – non ha nessun obbligo né può ricevere rivendicazioni ministeriali o consiliari. Ha preso questa decisione da solo e che io non condivido affatto perché innanzitutto terremo il consiglio bloccato per quasi sei mesi. Se l’8 marzo avviene il depotenziamento di cui abbiamo parlato, sappiamo che votando il 25 giugno il nuovo consiglio regionale rientrerà nei pieni poteri (art. 23 dello statuto) il primo giorno non festivo della terza settimana successiva alla proclamazione di tutti gli eletti. Ipotizzando che questa ci sarà dopo 20-25 giorni andiamo a finire in pieno agosto. Quindi io prevedo un consiglio che rientra nelle sue funzioni a settembre. Da marzo a settembre quindi sarà tutto bloccato. E questo è un aspetto che non fa bene alla regione, al territorio, insomma credo non faccia bene a nessuno. Oltre a vari aspetti logistici. Sicuramente avremo delle criticità, perché purtroppo a fine giugno tante famiglie andranno in vacanza visti i costi quasi proibitivi di luglio e agosto, avremo le scuole sedi di seggi elettorali interessati dagli esami di stato. Anticipando la data delle elezioni avremo evitato tutto ciò».
Nel centrodestra il tema da mesi continua ad essere uno solo: ricandidare o non ricandidare il presidente uscente. Lei da che parte sta?
«In più di una occasione ho detto che la guida della Regione deve avere una caratteristica fermamente politica, perché riesce a dialogare meglio con il territorio, aspetto assente in questa legislatura in cui è mancato il dialogo con le amministrazioni, con gli imprenditori, con le associazioni, con il consiglio regionale, con i gruppi consiliari. Insomma è mancato il dialogo con tutti. E quindi per me ci deve essere discontinuità e una nuova guida politica che Toma non è stato».
Tra i nomi papabili alla presidenza si vocifera ci sia pure il suo, una indicazione dell’area moderata e centrista. Conferma?
«Ci sono diversi nomi che ora sono sul tavolo tra cui anche il mio. Tutti legittimati ad avanzare tale richiesta, sia i singoli pretendenti sia i partiti che li rappresentano. Ovvio che il centrodestra deve trovare una sintesi giusta, un equilibrio. L’area moderata centrista vuole partecipare con una proposta seria e forte perché ha una rappresentanza elettorale molto importante. Il mio partito, l’Udc, ha fatto la sua proposta, e siamo pronti. Ma se la proposta sarà un’altra siamo pronti ugualmente a dare il nostro contributo».
Oggi cosa potrebbe minacciare l’unità del centrodestra? C’è la possibilità che si spacchi così come è successo a Isernia e possano formarsi alleanze diverse dalle attuali?
«Un rischio che ci può essere solo se nel centrodestra c’è chi dice “o io o me ne vado”, o se si insiste a imporre candidature che spaccano. Io credo che le richieste siano tutte legittime, poi ci deve essere la sintesi che riguarda tutti e che non può riguardare solo qualcuno. Oggi abbiamo un governo di centrodestra, parlamentari di centrodestra che ci rappresentano e quindi anche un governo regionale di centrodestra potrebbe portare al territorio dei vantaggi in termini di mediazione per risolvere i problemi. Io me lo auguro. Se ci sarà maturità politica da parte di tutti questo risultato si raggiungerà sicuramente».
La sanità continua a rimanere la grande emergenza in questa regione. E il clima che si è creato negli ultimi tempi non aiuta affatto.
«La sanità commissariata è stata un limite molto importante per il consiglio che non è mai potuto intervenire in alcuna azione programmatoria, né per criticare atti. Se pensa che è stato difficile perfino incontrare il commissario. Oggi però non possiamo certo arenare il dibattito in uno scontro tra privato e pubblico, piuttosto concentrare gli sforzi per garantire ai molisani servizi che funzionano e una sanità eccellente. Che sia chiaro non sta solo nel privato. Quello che voglio dire è che non si può fare una guerra dei poveri anche con una narrazione sbagliata, facendo passare il messaggio che si toglie ai ricchi per dare ai poveri. Non è così, perché a pagare sono sempre i cittadini. Tutta la politica – dai parlamentari, al governo regionale passando per le rappresentanze territoriali – dovrebbe invece lavorare in una direzione, andare a Roma per ottenere un decreto che porti ad una implementazione del budget. Ma non solo. Cecare di equilibrare anche un aspetto contabile-finanziario che punti ad un accordo con le regioni confinanti, Lazio e Campania, evitando l’utilizzo del budget con gli anticipi. Non si può sempre pensare di tagliare qualcosa come addirittura le terapie salvavita, spaventando i molisani. Noi invece dobbiamo trovare altre risorse o sbloccare questi aspetti contabili finanziari che ci permettono di non fare tagli. Per avere una sanità pubblica che funzioni supportata da una sanità privata eccellente, che già esiste».
alessandra longano