Un percorso a ostacoli, fino all’ultimo. Al termine di una mattinata convulsa, Filoteo Di Sandro fa ingresso nell’Aula di Palazzo D’Aimmo: consigliere supplente di Quintino Pallante che ora è solo assessore. Nel suo primo intervento affonda l’esperienza del governo Toma guardando negli occhi il capo della giunta e fa ammenda: sbagliammo a candidare nel 2018 un uomo della società civile.
La seduta, l’ultima ordinaria della XII legislatura della Regione Molise, comincia con un inciampo che era nell’aria da lunedì pomeriggio: il parere dell’Avvocatura distrettuale, chiesto dal presidente della Regione per capire come interpretare le ordinanze della Cassazione che hanno dato ragione ad Antonio Tedeschi e Filoteo Di Sandro, è articolato e controverso. Non va nella direzione seguita da Salvatore Micone. I provvedimenti, mette nero su bianco il capo dei “legali dello Stato”, hanno natura dichiarativa e non di condanna, il Consiglio non ha nessun obbligo di provvedere a far entrare i diretti interessati che dovrebbero chiedere un giudizio di ottemperanza. Questo il succo. Meno che mai nei confronti di Massimiliano Scarabeo che non ha ancora un verdetto favorevole dalla sua (il ricorso è ancora al grado di appello), e in questo caso il parere lo aveva sollecitato Micone. Che nel frattempo ha già convocato Di Sandro. E il provvedimento dei magistrati della Suprema Corte è perentorio, tra l’altro l’ordinanza non è interlocutoria perché decide la causa nel merito.
Mentre il responsabile di quello che è attualmente il primo partito d’Italia attende nel corridoio dei passi perduti – lo ha percorso infinite volte nei tanti anni in cui è stato assessore dei governi Iorio – nell’emiciclo il governatore Donato Toma chiede di parlare poco prima del voto. Cita il parere dell’Avvocatura, il rischio di potenziali conflitti che adombra. Niro, ex assessore, fa mettere a verbale che lui non sarà presente alla chiama. Pallante fa lo stesso, è su di lui che si voterà. Si allineano Cavaliere e Cotugno. I 5s a questo punto vogliono vederci chiaro: cosa dice questo parere? Al buio, loro non parteciperanno al voto. Micone dichiara di averlo inviato via mail e fischia un timeout e dà appuntamento alle 11.30.
Nella sala attigua all’Aula urla, accuse e parole grosse: dentro ci sono i componenti della giunta e qualche consigliere di maggioranza a turno. È tutti contro tutti.
Senza l’esecutivo e senza i pentastellati comunque non c’è il numero legale. Chi se la prende la responsabilità di lasciare fuori dall’Assise Di Sandro? Il Pd, con Fanelli e Facciolla, come Iorio e Romagnuolo, sono pronti ad aprire le porte al coordinatore di FdI. Nessuna alchimia politica, lo dice la Cassazione (e i dem peraltro votarono insieme a Iorio contro l’abrogazione immediata della surroga censurata dalla Suprema Corte oggi).
Alla fine, va meglio di come poteva. In Aula rientrano Toma, Calenda e Cotugno. Il capo dell’esecutivo si astiene, insieme ai 5s (cinque perché Nola alla seduta non c’è). Cotugno e Calenda votano sì con gli altri esponenti del centrodestra presenti (assenti Cavaliere, Niro e Pallante) e con il Pd.
Di Sandro prende posto fra Aida e il suo ex governatore, Iorio. Fedele alla linea di questi anni, rivendica di essere in Aula solo grazie alla Cassazione e non al suo compagno di partito Pallante (non lo cita mai per nome). Che alla fine viene graziato dagli strali peggiori, c’è giusto quel passaggio – non indolore – sulla gratitudine a Giorgia Meloni che non lo ha mai commissariato come spesso invece si è fatto circolare.
Al presidente Toma, come capo della maggioranza, imputa di non aver tenuto l’unità della coalizione, di non aver mai consultato i partiti che lo sostennero, la scelta della cancellazione della surroga, «progetto perseguito in maniera lucida e razionale solo per estromettere quattro consigliere e forse per evitare il mio ingresso. Credo che tutto il centrodestra abbia commesso un errore nello scegliere una persona della società civile. Lei, presidente, ha perso una buona occasione per risollevare le sorti della regione per essere un leader. Ha distrutto il centrodestra trasformando la maggioranza in una maggioranza del presidente, appiccicando tasselli di volta in volta per andare avanti». Questo non vuol dire che Di Sandro voterà (quelle poche volte che dovrà farlo in questo scampolo di mandato) contro. La linea, ribadisce, si concorda con il partito regionale e con quello nazionale.
La partita sulla presidenza entra nel vivo.
ritai