Le giunte di Lazio e Lombardia, le presidenze delle commissioni bicamerali (antimafia, vigilanza Rai, Cdp): i partiti nazionali del centrodestra hanno queste matasse da dipanare. L’aria è tesa, gli accordi non si raggiungono. E le regionali del 25 giugno devono aspettare.
I coordinatori locali però hanno intenzione di rivedersi la prossima settimana (passata la tempesta delle surroghe a Palazzo D’Aimmo) anche per non stare con le mani in mano, conferma la responsabile di Forza Italia Annaelsa Tartaglione, esercitando il giusto pressing su Roma perché – pur comprendendo che le questioni che agitano la coalizione in queste ore sono della massima importanza – apra il dossier Molise al più presto e definisca a chi tocca la casella.
Si tratta di una scelta dirimente, senza la quale può essere vero tutto e il suo contrario. Guardando a come sono state decise le leadership nelle altre Regioni che sono andate al voto da poco o ci andranno, toccherebbe agli azzurri (che hanno avuto il pallino in mano anche nel 2018). Lombardia alla Lega, Lazio a Fratelli d’Italia. Però nell’autunno scorso Forza Italia ruppe la regola dell’uscente e ottenne la staffetta fra Musumeci (che poi Meloni ha nominato ministro) e il suo Schifani. In Friuli, alle urne a inizio aprile, invece la riproposizione del leghista Fedriga non è stata mai in discussione.
Il quadro, come è evidente, è variegato. Un dato spicca su tutti: Fratelli d’Italia, primo partito del Paese e forza trainante del centrodestra, ha la guida di poche Regioni: Lazio (con il neo eletto Rocca), Abruzzo (con Marsilio) e Marche (con Acquaroli). Potrebbe essere un buon motivo per accogliere, in via della Scrofa, la richiesta del coordinamento regionale che ha chiesto la presidenza, forte anche dell’ottimo risultato alle politiche con l’elezione, sul proporzionale, della deputata Elisabetta Lancellotta e del senatore Costanzo Della Porta.
Affidare la leadership agli uomini di Giorgia risolverebbe in radice l’imbarazzo di Forza Italia, dove a quella dell’uscente si contrappongono altre, e altrettanto legittime, ambizioni alla candidatura. Ma, dicono fonti accreditate, Meloni non vuole litigare con Berlusconi.
Poniamo che si lasci tutto com’è, la partita è in casa degli azzurri. Quali sono i nomi dei forzisti papabili? Come già detto, Donato Toma, che conta sulla consuetudine di riproporre l’uscente e rivendica di aver ottenuto risultati nonostante due anni di stop nell’azione di governo imposti dalla pandemia. Ha buoni rapporti con i maggiorenti in rapida e potente ascesa, per esempio la capogruppo in Senato Licia Ronzulli. Berlusconi lo chiama spesso anche per chiedergli: cosa vuoi fare? Pure lui, come i coordinatori che in questi giorni stanno compulsando i contatti romani, ha chiesto la riunione del tavolo di centrodestra per definire la questione “Molise”.
Il tavolo regionale, invece, il 27 gennaio si è espresso su un punto, in attesa di capire a chi toccherà indicarlo: il candidato governatore dovrà essere un politico. Concetto ribadito dal coordinatore di FdI Di Sandro nel suo primo (e probabilmente ultimo, perché la legislatura è finita) intervento politico in questo Consiglio: sbagliammo a scegliere una persona della società civile nel 2018, ha detto martedì a Toma. La posizione della Lega, che chiede di cambiare, è arcinota.
Un politico sindaco di Termoli e presidente della Provincia di Campobasso? Le quotazioni di Francesco Roberti, nel gioco dei papabili, non sono calate neanche quando – in base a un accordo territoriale – ha fatto votare alle politiche l’amico e sindaco di San Giacomo Della Porta (FdI) e l’amico ed ex presidente del suo Consiglio comunale Marone (Lega). Nonostante fosse il coordinatore provinciale di Forza Italia. Finito nel mirino dell’assessore Cavaliere, candidato non eletto al Senato, e di molti altri dirigenti locali del partito che hanno chiesto provvedimenti e prese di posizione, Roberti è rimasto al suo posto: coordinatore provinciale degli azzurri. E si racconta che anche lui può agevolmente alzare il telefono e farsi ascoltare da Licia Ronzulli. Potrebbe, inoltre, capitalizzare proprio quell’accordo territoriale che lo ha visto dare una mano a meloniani e leghisti.
Anche Nicola Cavaliere è pienamente in gioco. Non è entrato a Palazzo Madama ma non si è risparmiato alle politiche. Ha simpatizzato subito col senatore Lotito, eletto nel maggioritario. È capo delegazione di Forza Italia in giunta (alter ego o contraltare del governatore). In questi ultimi giorni, turbolenti per via delle surroghe, si è fatto sentire parecchio coi colleghi assessori.
Infine, perché no la prima donna governatrice del Molise? Annaelsa Tartaglione, non rieletta alla Camera, ha mantenuto i nervi saldi anche dopo la sconfitta e soprattutto ha mantenuto le redini del partito e il collegamento coi vertici nazionali. Non ha mosso guerra contro Roberti, conserva l’appoggio dell’eurodeputato Patriciello e starebbe per portare nel partito il cognato Vincenzo Cotugno. Potrebbe essere il jolly in caso di dissensi insanabili. Nessuno (o quasi) direbbe di no.
Sempre che Giorgia non decida di “prendersi il Molise”, disinnescando i conflitti interni al suo partito come ha fatto nel Lazio: indicando un altro “Rocca”.

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