Era vicinissimo all’ex ministro Di Maio senza ombra di dubbio. Eppure neanche un anno fa ha scelto il Movimento, di cui è rimasto fedele interprete in Molise. A dispetto dell’allure che lo contraddistingue, conseguenza del carattere impetuoso, Andrea Greco è capace di gesti e azioni meditati, strategici. Quindi, senza rammarico e con disinvoltura conclude: «Io voglio essere una risorsa, un valore aggiunto per la coalizione che stiamo costruendo per le regionali del 25 e 26 giugno, non certo un problema». E allora, risponde alla domanda sul suo destino, «in questo momento è meglio che il mio nome venga tolto dal tavolo delle trattative e non aggiunto».
Un passo di lato che alleati politicamente più esperti e scaltri non hanno fatto, comunque non pubblicamente. Greco però sa che anche fra i militanti e i dirigenti pentastellati c’è chi pensa che non sia lui la persona giusta per incarnare una leadership non monocolore. Qualcuno glielo ha detto in chiaro, altri – come avviene in ogni partito che si rispetti – invece no. Ma il rischio, a quel punto per tutto lo schieramento, è troppo grande. E lui percepisce, sa di essere considerato scomodo. In questo caso anche, forse anzi prevalentemente, da alcuni compagni di viaggio (adesso almeno lo sono).
Il coordinatore Antonio Federico, da cui tutti gli altri componenti del tavolo stanno aspettando l’indicazione di uno o due nomi, su queste colonne ha definito il capogruppo di Palazzo D’Aimmo e il sindaco di Campobasso due valori assoluti per il Movimento e smentito che ci sia rivalità. Ha aggiunto: non voglio creare antagonismi. Stringi stringi, l’alternativa però si risolve fra quei due nomi. Con una variabile che potrebbe prendere spazio quando alle riunioni torneranno gli esponenti di Molise Domani: quella della consigliera Patrizia Manzo. Ha ottimi rapporti con quel movimento civico, buoni col Pd. Ma la sua candidatura è vietata dal regolamento 5s. Quella di Gravina (che nel campo largo under construction registra un alto gradimento) è ostacolata dall’esigenza di non lasciare scoperto il capoluogo di regione, l’unico in Italia guidato dai pentastellati, per un anno. La maggioranza, quella sì monocolore, pare stia già facendo rullare i tamburi di guerra.
Un impasse che Greco non vuole alimentare. «In una coalizione le persone, le figure devono servire per unire, non per dividere», dice interpellato da Primo Piano. Il suo auspicio è che «il candidato sia un manifesto umano dei valori che vogliamo sottoporre all’attenzione dei cittadini. E che si faccia una valutazione attenta su eventuali “manifesti umani” portatori di valori sani e si scelga nella maniera migliore possibile».
L’uomo, o la donna, che va bene davvero a tutti non esiste. Va trovato perciò l’interprete migliore di principi che a suo parere devono restare saldi. Per esempio, rispetto al «problema dei problemi avvertito in Molise», che «in questo momento è quello legato al mondo della sanità», c’è bisogno «di una figura di garanzia, che sia capace di dettare una linea chiara».
Perché una cosa comunque la ribadisce: se è vero che pensa che al momento «la cosa migliore da fare sia quella di togliere il mio nome dal tavolo piuttosto che metterlo», assicura che non «verrà meno il suo impegno nei confronti del Movimento, i miei principi, le mie battaglie li conoscono tutti e li porterò avanti come e più di prima». Per essere più diretti, nessun «compromesso morale, non lo accetterei, i cittadini non ci riconoscerebbero e invece abbiamo un preciso dovere di farci riconoscere dai cittadini». Tradotto: niente alleanza col Terzo polo. Su Azione e Italia Viva, Greco è irremovibile. Lo ha ribadito alle riunioni del centrosinistra, per lui si tratta di contenitori e contenuti troppo vicini (o non abbastanza lontani) da quello che il suo coordinatore regionale Federico ha definito «il mondo Patriciello».
Allo stesso modo Greco è «fermamente convinto che se la coalizione vuole vincere deve esprimere un nome del Movimento», altrimenti, come hanno dimostrato i risultati delle recenti elezioni in cui i 5s hanno accettato la leadership degli alleati, «la base non ci vota e questo significa consegnare la regione in mano alla destra».
r.i.