Il risultato annunciato e scontato delle elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia conferma che il Movimento 5 stelle, solo o in coalizione, non ha più l’appeal di un tempo. I grillini, che partecipavano alla competizione nello schieramento di centrosinistra, si sono fermati al 2,4%. Ha fatto meglio Giorgia Tripoli (4,66%), avvocata di Udine, che ha messo nella sua lista (3,98%) gilet arancioni, no vax, no green pass e medici sospesi per non aver rispettato le norme sulle vaccinazioni.
Il prossimo test sarà il Molise, dove si voterà il 25 e 26 giugno.
Forse è tattica, strategia, o – perché no – la confusione generale, ma entrambi gli schieramenti sembrano non avere le idee ben chiare su chi guiderà le rispettive coalizioni. Si cercano due nomi importanti, che possano catalizzare l’attenzione al di là dei programmi (di cui nessuno parla).
Il centrodestra, è ormai chiaro, vuole rompere con il passato. Toma si è giocato a Roma tutte le carte a disposizione e attende – mai come in questi ultimi giorni – in religioso silenzio eventuali buone nuove. I suoi alleati – chi a denti stretti affidandosi a qualche post social contro la sanità, chi apertamente come Fratelli d’Italia (Di Sandro) e Lega – hanno abbandonato l’idea dell’uscente e si stanno muovendo in altre direzioni. Al momento sembra difficile che il nome possa uscire tra coloro che siedono nei banchi del Consiglio. In pole resta il sindaco di Termoli, nonché presidente della Provincia di Campobasso, Francesco Roberti. Anche se nelle ultime ore ha ripreso quota il sindaco di Venafro – pure lui presidente di Provincia – Alfredo Ricci.
Ricci, che fondamentalmente non ha un partito di riferimento, secondo quanto riferiscono fonti qualificate, pare sia sponsorizzato anche da una parte di Fratelli d’Italia, ovvero, da esponenti del partito che non vedrebbero di buon occhio la concentrazione di potere in basso Molise, che potrebbe concretizzarsi con l’eventuale vittoria di Roberti.
Non è infine da escludere l’opzione “centristi”. Sempre da Roma arrivano notizie dettagliate circa un nome di spessore che il segretario dell’Udc Cesa potrebbe portare al tavolo in programma nei prossimi giorni a Isernia (il summit si sarebbe dovuto tenere domani ma Lotito ha chiesto il rinvio).
Domani, invece, si riunisce di nuovo il comitato ristretto del centrosinistra. Di informazioni ne sono circolate diverse e talune anche contrastanti. Come per gli avversari, le attese sono tutte per il nome che guiderà la coalizione.
L’ipotesi Gravina sembra definitivamente tramontata. Conte, come d’altronde era prevedibile, non sarebbe disposto a concedere la deroga che consentirebbe al sindaco di Campobasso di terminare con un anno di anticipo la consiliatura. Dal Movimento assicurano che tutti stanno guardando oltre. Ma nel mare magnum dell’incertezza e della tattica, non è escluso che anche questa informazione sia stata veicolata nel tentativo di non scoprire troppo le carte e favorire il centrodestra.
Un dato è certo: se il centrosinistra vuole vincere le elezioni, guardando i soggetti politici che siedono al tavolo, è necessario che il Pd – nonostante in Friuli non si è avuto riscontro dell’effetto Schlein – superi il 20%. Altrettanto dovrà fare il Movimento di Conte e Federico.
Potenzialmente non è escluso che ciò possa accadere. Ma per catalizzare consenso serve intanto un programma credibile (di cui nessuno conosce un solo rigo) e poi è necessario attribuire una serie di insuccessi – tipo sanità e viabilità – al governo in carica. Infine, e non in ordine di importanza, è necessario puntare su un candidato presidente che, come si dice in gergo, buchi lo schermo.
Scartata l’ipotesi Gravina, Iannacone potrebbe fare al caso. Ma il tavolo sembra propendere più per un profilo politico, al netto delle sacrosante strategie messe in atto per tutelare un nome piuttosto che un altro. Per dirla alla Boskov: «Rigore è quando arbitro fischia!». Inutile, dunque, dire «Iannacone» fin quando partiti e movimenti del fronte progressista non avranno deciso in tal senso. Anche perché in politica il detto «chi entra papa esce cardinale» è sempre attuale.
Tirando le somme, non servono sondaggi, veggenti o fattucchieri per comprendere che il terreno è scivoloso e ricco di insidie. Con un’aggravante: qualcuno – che da almeno 30 anni prova a fare il brutto e il cattivo tempo – sta giocando su entrambi i tavoli, nel tentativo di vincere anche se perde. L’atteggiamento, per certi versi, potrebbe essere anche legittimo. Farlo però pensando che i molisani abbiano l’anello al naso e utilizzando potenziali (ignari) candidati di una certa caratura, oltre ad essere squallido diventa pericoloso. Molto pericoloso.
Bisognerebbe piuttosto prendere atto che tutto – anche in politica – ha un inizio e una fine. E quando il viale del tramonto è imboccato, il sole cala fino a sera; fino all’oscurità. Poi arriva l’alba, certo. Ma a volte la notte è lunga, buia e tempestosa.
luca colella