Trascorsa la settimana di Pasqua, in attesa di conoscere gli aspiranti sindaci di Venafro, Larino e degli altri pochi Comuni chiamati alle urne il 14 e 15 maggio, le segreterie romane e molisane di partiti e movimenti dovrebbero nelle prossime ore tirare fuori il nome del rispettivo candidato presidente, ovvero, limitare le opzioni ad una rosa ristretta.
Secondo le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi, il centrodestra locale non metterà mano a nulla: acquisite le informazioni necessarie e le disponibilità, sarà Roma a decidere chi guiderà la coalizione. Il profilo rimane quello di un politico, che oltre ad avere esperienza amministrativa sia anche molisano.
Quindi, Michele Iorio, Quintino Pallante, Filoteo Di Sandro, Vincenzo Niro, Donato Toma, Nicola Cavaliere, Salvatore Micone e il sindaco di Termoli Francesco Roberti.
Nei giorni scorsi si era aggiunto alla lista anche il sindaco di Venafro, Alfredo Ricci, sponsorizzato dalla deputata Elisabetta Lancellotta. Ricci, tuttavia, pare deciso a provare il bis nella sua città. Non è escluso inoltre che nel novero dei papabili entri anche il consigliere uscente Andrea Di Lucente.
Oltre ai pretendenti espressione di Fratelli d’Italia, Popolari per l’Italia, Forza Italia e Udc, Roma ha catapultato nella mischia il rettore dell’Unimol Luca Brunese, che seppur non è nato in Molise, lavora e vive da anni a Campobasso. Non è un politico, ma amministrare un Ateneo richiede elevate capacità manageriali. Quindi, rientrerebbe a pieno titolo nell’identikit tracciato. Il magnifico rettore dell’Università risolverebbe veti trasversali e gelosie. Non è infatti un mistero che notabili e papabili siano animati da rancore l’uno nei confronti dell’altro. Ovvero, Iorio afferma: perché Cavaliere sì e io no? Vale, salvo qualche eccezione ristretta all’interno dei singoli partiti (Di Sandro, per esempio, non avrebbe nulla da pretendere se la coalizione scegliesse Iorio), per tutti gli aspiranti.
Se la rosa di nomi dovesse rimanere quella sinora circolata, non è complicato comprendere come finirà: il rettore Brunese ha un vantaggio incolmabile sugli altri concorrenti. Resta da capire se e quando scioglierà la riserva. Dai ragionamenti trapelati dall’Ateneo, il magnifico non avrebbe detto espressamente «no» per garbo istituzionale. Ciò non esclude una seria valutazione sull’opportunità che gli è stata concessa. È tuttavia risaputo che la poltrona del quarto piano di via Genova, vista la situazione generale dei conti della Regione, è diventata una trappola logorante per la professione di chi la occupa. Insomma, il rettore ha in mente un futuro professionale ancora ricco di grandi soddisfazioni nel campo scientifico ove ha sempre operato con profitto e successo. Tuttavia, la tentazione di accettare pare sia forte.
Nel caso dovesse rifiutare, Roma sarà “costretta” a scegliere il meno “divisivo” tra i politici di centrodestra che hanno fatto un passo avanti. Intuibile che sarà opzionato colui che più facilmente mette tutti d’accordo. Tenendo presente una circostanza non di poco conto: l’inchiesta per abuso d’ufficio che vede coinvolti presidente e giunta uscenti. I fatti sono relativi alla nomina di Nico Romagnuolo a capo del Consorzio industriale di Bojano. Secondo la tesi della Procura, Romagnuolo, consigliere regionale costretto a lasciare anzitempo Palazzo D’Aimmo per via della revoca della surroga, non poteva essere nominato perché dovevano trascorrere 24 mesi – così recita la legge – dalla cessazione del mandato assembleare.
L’abuso d’ufficio, per carità, è un reato antipatico per chi amministra, ma tutto sommato tollerabile rispetto a corruzione, concussione e ruberie varie. Secondo la norma cosiddetta “Severino”, però, in caso di condanna, anche e solo di primo grado, scatterebbe l’istituto della sospensione. Quindi, il consigliere regionale condannato dovrebbe osservare un turno di pausa (“sospensione”) di un determinato periodo, nel corso del quale sarebbe sostituito dal primo dei non eletti della lista di appartenenza. Se la condanna dovesse riguardare il presidente di Regione – e qui il terreno diventa pericoloso –, niente sospensione: il Consiglio verrebbe sciolto (e non è che se poi il presidente in appello viene assolto, il Consiglio sciolto torna in carica).
Chi si assume la responsabilità di candidare alla presidenza una persona su cui pende un’inchiesta per abuso?
Da parte loro presidente e giunta sono convinti della bontà dell’operato e si dicono certi che tutto si risolverà con un proscioglimento senza arrivare al processo. Di fatto Romagnuolo è stato nominato prima che trascorressero due anni dalla cessazione del mandato in Consiglio e sul punto c’è un parere dell’Anac che pesa molto. Gli indagati sostengono però che la norma dei 24 mesi si applica per gli enti sub regionali, ovvero, quelli su cui la Regione ha influenza diretta. Secondo la tesi sostenuta dalla difesa i Consorzi industriali non rientrerebbero tra questi. E chissà che indagati e legali di fiducia non abbiano ragione.
Sul fronte opposto si registra un notevole ritardo rispetto all’agenda che il Partito democratico aveva dettato. Facciolla chiese espressamente agli alleati «il candidato entro Pasqua». Ma occorre ancora qualche ora per sciogliere una serie di nodi.
Va da sé che i nomi attualmente sul tavolo – fatta eccezione per Domenico Iannacone – sono serviti per avviare i ragionamenti. Ma hanno poche speranze di passare il vaglio.
I riflettori sarebbero puntati solo ed esclusivamente sul noto giornalista, che pare sia molto ben visto anche da Conte e Schlein. Ieri i pentastellati molisani avevano in programma una videocall con Conte ma dall’altro capo dei “dispositivi” hanno trovato Paola Taverna.
«I passaggi» prima di arrivare a dire «sì» a Iannacone (o chicchessia) – riferiscono fonti grilline – «sono diversi. Capiamo la necessità di caricare di aspettative ogni appuntamento o ogni riunione, ma non è così. Se ci fossero cose importanti da raccontare, saremmo noi i primi a farlo».
In attesa dei tempi di Federico & Co., cresce progressivamente l’insofferenza di partiti e movimenti che hanno aderito al campo largo. Lo stesso Iannacone, che finora non si è espresso, nel caso fosse realmente interessato, potrebbe subire negativamente le indecisioni grilline che stanno mettendo in serio pericolo l’intesa con il Pd e con il resto della coalizione.
Il gruppo locale dei 5 stelle è convinto di avere la possibilità di battere il centrodestra solo ed esclusivamente se il candidato presidente sarà scelto tra la nomenclatura pentastellata. Ambizione più che legittima, anche se, i dati delle regionali di Lazio, Lombardia e Friuli dicono tutt’altro.
Infine, circostanza non affatto trascurabile: quali e quante saranno le liste, dall’una e dall’altra parte?
La legge elettorale del Molise non è che consenta ampio margine al voto cosiddetto di opinione. Vince la coalizione guidata dal presidente che ottiene una sola preferenza in più rispetto agli avversari. Il voto disgiunto – presidente di una coalizione e consigliere di un partito dell’altra – non è consentito. Ogni preferenza che raccoglie un aspirante inquilino di Palazzo D’Aimmo va anche al presidente a cui lo stesso è collegato, anche se non espressamente indicato dall’elettore.
Quindi, riassumendo: strategie, imposizioni romane, veti, gelosie, inchieste e presidenti di spessore… Le elezioni le vincono i candidati consiglieri che portano più consenso a chi guida la coalizione.
Il resto, per quanto importante, è solo contorno utile ad alimentare le chiacchiere.
LUCA COLELLA